Daria Bignardi: “Io, la Tv, l’ansia e il mondo gay che vorrei”

"Io a Pechino Express? Non ho il fisico adatto! La Pina, che partecipò qualche edizione fa, mi ha raccontato di fatiche sovrumane.

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È stata la pioniera di un certo tipo di Tv, ma oggi, di quel mondo lì, non vuole più sentirne parlare. Non è convinta che solamente le donne s’innamorino degli stronzi e crede ancora oggi che il mondo gay meriti di più. Nel 2015 era certa che la Sinistra prima o poi avrebbe portato a casa le Unioni Civili, così come che la sua carriera avrebbe preso una piega totalmente diversa, e così è stato. Veggente quanto basta, se dovesse dare un colore all’ansia, Daria Bignardi non ci penserebbe due volte a scegliere il giallo. Appassionata di vite e sentimenti, l’ex Direttore di Rai 3, torna per la sesta volta in libreria con il romanzo ’Storia della mia ansia’ e questa è la sua intervista nella giornata più difficile dell’anno.

Che non me ne vogliano gli altri cinque, ma se le dicessi, ancor prima di iniziare, che ‘Storia della mia ansia’ è il suo romanzo più bello?

Mi farebbe piacere. Molto.

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Mila, Maddi, Arno, Alma, Maio e ora Lea e Shlomo. Negli anni ha sempre utilizzato, per i suoi personaggi, nomi corti, duri e decisamente poco comuni. C’è un motivo particolare di questa decisione?

Ha a che vedere col suono che hanno quando li leggi a voce alta. I nomi si ripetono continuamente, devono avere un suono appropriato.

Che poi quanto conosce dei suoi personaggi ancor prima di scriverne?

Li conosco un po’, ma mai come quando finisco il romanzo. E neanche allora li conosco veramente. Mi stupiscono sempre, decidono da soli, spesso a volte solo dopo la pubblicazione un lettore o l’altro mi fanno capire come e perché quel personaggio quella volta aveva detto proprio quella cosa. 

Shlomo, ad esempio, è un uomo freddo, chiuso, silenzioso. Nella sua vita si è mai confrontata con uomini così?

Oh, sì.

Perché le donne, da sempre, si innamorano di chi le fa soffrire?

Come mi fa incavolare questa cosa, anche se un po’ è vera. Ma succede anche agli uomini, non solo alle donne, no?

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Imparerò a prendermi cura di me e a mettere i miei desideri davanti a quelli degli altri: fare il contrario, tanto, non funziona”. Quanto c’è di Lea, in lei?

(Ride, ndr) Che domanda impertinente. Abbastanza, comunque. 

La terza protagonista del romanzo, invece, è l’ansia. Secondo lei è più difficile riconoscerla, combatterla o conviverci serenamente?

È tutto difficile, ma forse riconoscerla è la cosa meno scontata. 

Quando si parla di ansia, chissà perché, si pensa subito alla psicanalisi, ai Kleenex sulla scrivania, agli antidepressivi, ai fiori di Bach, ma anche allo yoga e alla meditazione. Lei, invece, a cosa l’assocerebbe così, d’emblée?

A un’energia febbrile, a una distorsione dello sguardo che non ti lascia mai riposare e non ti concede di aspettare.

Nel romanzo si domanda: “Fino a che punto il corpo può sopportare l’infelicità in amore?”. Lei saprebbe darsi una risposta?

No, e credo non sia uguale per tutti. 

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Ha raccontato che sua madre soffriva di ansia e che involontariamente, lei e sua sorella Donatella, ne siete state vittime. Oggi lei ha due figli. Ha cercato di proteggerli negli anni dalla sua di ansia o l’ansia, alla fine, non fa mai sconti a nessuno?

Penso di averli  protetti, sicuramente ci ho provato risolutamente, ma non credo di esserci riuscita del tutto. Ho cercato di incanalare la mia ansia nella creatività, nel lavoro. Ma qualche fulmine avrà sfiorato anche loro. 

Ci sono scrittori che scrivono per strada, altri in posti nuovi, in città diverse e chi nel caos di uno Starbucks qualsiasi. Lei quando scrive, dove trova la sua dimensione?

Comincio al mattino molto presto, e se sono dentro a una storia non la lascio mai, neanche quando dormo. Di solito preferisco il silenzio di casa, ma ‘L’Acustica Perfetta’, ad esempio, l’ho scritta parecchio anche ad un tavolino del baretto di una spiaggia gallurese. 

L’esperienza in Rai, e la sua voglia di Rivoluzione, non le ha avrà fatto mica perdere le speranze, vero?

In che cosa?

Nella Tv. Possibile che nonostante l’affetto del pubblico, non le manchi? 

Possibilissimo. Ho sempre fatto molta fatica a fare televisione, soprattutto ad apparire. Non è mai stato facile per me.

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Costantino della Gherardesca, in un’intervista al sottoscritto, disse che l’avrebbe tanto voluta nel cast di Pechino Express. Lei, ad avventure come quella, prenderebbe mai parte?

Mi piace giocare. E sono avventurosa. Ma non credo di avere il fisico adatto. La Pina, che partecipò con suo marito qualche edizione fa, mi ha raccontato di fatiche sovrumane in quel programma. 

Nel 2015, in un intervista al sottoscritto, mi disse: “I gay dovrebbero pretendere di contare di più!”. Siamo nel 2018, pensa che il mondo lgbt abbia seguito il suo consiglio?

Un po’ sì. Molte cose vanno meglio. Abbiamo ottenuto le unioni civili. Certo il matrimonio sarebbe stato meglio. 

in questi giorni ha scritto: “Non mi riconosco nelle parole “guerra”, “battaglia”, “vittoria” e “ sconfitta” in tema di malattia. La malattia è un aspetto della vita, come la salute. Non si vince e non si perde, si vive e basta, a volte persino si muore. Ma anche la morte fa parte della vita.” Ma riesce sempre ad essere così lucida, razionale e concreta anche nei momenti più difficili?

Non credo si tratti di  razionalità e  tanto meno di concretezza. Credo sia in parte una consapevolezza spirituale, che ho sempre avuto, fin da ragazza ma  soprattutto un fastidio per parole nelle quali non mi riconosco. 

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