L’arte di Elmgreen&Dragset: ragazzetti e nostalgia
alla fine del party

Elmgreen&Dragset ci portano con malinconia attraverso ciò che rimane del luogo dove tutto è iniziato, ma ormai è tardi e la festa che fu è già finita.

L'arte di Elmgreen&Dragset: ragazzetti e nostalgia <br> alla fine del party - elmgreen dragset - Gay.it
7 min. di lettura

Le opere del duo artistico composto da Michael Elmgreen e Ingar Dragset si posizionano al crocevia di diverse dimensioni creative. Attivi sin dal 1995, i loro lavori mescolano l’architettonico all’artistico, secondo un processo che vede lo stesso spazio espositivo trasformarsi in ambientazione scenica. Tutto, nel loro mondo, viene esposto ad un processo di rielaborazione – un dislocamento che trova la sua eco nelle definizioni moderne e instabili dell’identità e dell’arte stessa. Una delle caratteristiche più evidenti del loro processo creativo è la rivisitazione di luoghi strettamente legati alla comunità omosessuale, trasformati  in denuncia sociale o in background nostalgico in contrasto con la sempre più presente meccanizzazione dei rapporti umani.

Guardiamo ora alcune delle opere più umoristiche, significative ed emblematiche del duo Elmgreen&Dragset:


The Collectors (2009)

Alla Biennale di Venezia del 2009, Elmgreen&Dragset hanno ottenuto l’incarico di curare le esposizioni di ben due padiglioni: quello nordico e quello danese. Ricreando due vere e proprie abitazioni. Nel primo hanno plasmato lo spazio espositivo a dimora di un collezionista – il misterioso Mr. B – dal gusto artistico eccentrico e con una passione per giovani ragazzi.

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The Curators, 2009, Biennale di Venezia (Dettagli: Padiglione Nordico)

Nel secondo, le scelte artistiche e d’arredo riportano alla mente una dimensione più famigliare, sebbene dall’aura tesa e dai tratti disfunzionali.

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The Curators, 2009, Biennale di Venezia (Dettagli: Padiglione Danese)

Molte sono state le collaborazioni con altri artisti le cui opere sono state usate per rendere al meglio il messaggio che entrambe le abitazioni dovevano convogliare, tra cui Wolgang Tillmans e Simon Fujiwara (per approfondire entrambi gli artisti, clicca QUI).

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The Curators, 2009, Biennale di Venezia (Dettaglio: Padiglione Nordico)

In questo caso, la denuncia è rivolta a quel desiderio borghese di accumulare beni al solo scopo di farne sfoggio, plasmando la propria identità in base a quelli. Questa fastosità, tuttavia, viene resa fatua dai risvolti della vita dei proprietari. Da un lato (Padiglione Nordico), Mr. B giace senza vita in piscina, mentre un gruppo di nudi rent-boys girovaga per casa leggendo, ascoltando musica e bevendo cocktail.

Dall’altro (Padiglione Danese), la casa è distrutta e messa in vendita. A poco è servito accaparrarsi così tanti oggetti di lusso: nel primo caso non sono serviti a migliorare una situazione famigliare difficile; nel secondo sono lasciati al giovamento di alcuni ragazzi, il cui atteggiamento tranquillo e rilassato fa presagire un ruolo nella morte del proprietario di casa.


Amigos Sauna (2011)

Prendendo il nome dalla sauna più grande di Copenhagen, Elmgreen&Dragset riproducono uno dei luoghi di incontri sessuali più stereotipati del mondo gay, dove esibizionismo e voyeurismo si mescolano nei vapori delle sue sale sfocate.

Elmgreen & Dragset, Amigos, 2011.
Amigos Sauna, 2011

Prendendosi gioco delle nostre aspettative sociali, il duo di artisti mette in discussione ciò che la galleria e la sauna rappresentano. Se pochi ammetterebbero di essersi recati in una sauna per fare sesso, nessuno ha problemi a dire di aver visitato una mostra d’arte, ma se la mostra in questione è l’esatta riproduzione di una sauna dai tratti omoerotici? 

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Amigos Sauna, 2011

Mescolando statue elleniche e romane a dettagli moderni, Elmgreen&Dragset si rimandano agli usi e costumi della Grecia e Roma antica, dove tali incontri sessuali tra uomini erano usuali e comunemente accettati. Il riferimento al mondo classico ci riporta però a tempi ben più vicini a noi, al momento in cui le saune erano diventate capro espiatorio e luogo di proliferazione comunemente accettato di malattie come l’AIDS negli anni ’80 e ’90. I riferimenti allo sviluppo della malattia, infatti, non mancano: il Fauno Barberini è allacciato ad una flebo e un corpo senza vita galleggia in piscina.


The Mirror (2008)

The Mirror, 2008
The Mirror, 2008 (Veduta esterna della Galleria Victoria Mirò, Londra)

Di simile impatto e produzione è anche un’altra installazione intitolata The Mirror del 2008, che si presenta come l’esatta riproduzione di un night-club gay in cui la festa, tuttavia, è già terminata. Tutto ciò che rimane sono le conseguenze della notte brava, tra sfere di specchi cadute al suolo, una borsa dimenticata sul divanetto e due ragazzi chiusi in un bagno.

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The Mirror, 2008

Più di ogni altro, è quest’ultimo dettaglio a convogliare la nostalgia che l’opera mette in scena: ironica nella rappresentazione, è la perdita di luoghi sociali in cui fare nuove e tangibili conoscenze ad essere richiamata. In un’epoca in cui gran parte delle relazioni sociali e sessuali prende forma nell’isolamento di un’app, sia questa Facebook o Grindr, Elmgreen&Dragset ci portano con malinconia attraverso ciò che rimane del luogo dove tutto è iniziato, dove abbiamo potuto per le prime volte divertirci senza pensieri, baciare senza giudizi ed essere noi stessi. Ma ormai è tardi e la festa che fu è già finita: siamo esclusi dalla questa perché alienati nella vita reale, preferendo rapporti virtuali a quelli reali.

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The Mirror, 2008

Stigma (2015)

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Stigma, 2015, Galleria Massimo de Carlo, Milano (Foto: Roberto Marossi)

Sempre di una festa si tratta quella ricreata dal duo scandinavo nel 2015 alla sede milanese della galleria Massimo de Carlo. Vasi ricolmi di polvere colorata si presentano ai nostri occhi in combinazioni apparentemente casuali, mentre in una sala adiacente una lampada da muro emana una luce crepuscolare, su cui solo una stella filante rimane ad oscillare.

Anche in questo caso, un party è concluso. Tutto ciò con cui siamo obbligati a confrontarci è una sala simil-buia, affiancata a una serie di vasi dalla forma e dai colori suggestivi.

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Stigma, 2015, Galleria Massimo de Carlo, Milano (Foto: Roberto Marossi)

In questo caso, però, la celebrazione appena conclusa è quella della spensieratezza sessuale del periodo precedente l’epidemia dell’AIDS: fortemente influenzati dall’estetica minimalista di Félix Gonzalez-Torres, Elmgreen&Dragset creano la propria elegia funebre per coloro che la malattia ha mietuto.

E’ per questo che i vasi nella sala adiacente ricordano urne cinerarie. Tuttavia, il loro contenuto polveroso non è simbolo di morte, ma di rinascita: i colori utilizzati sono gli stessi delle pillole anti-virali: verde come lo Stribild, rosa come l’Atripla, azzurro come il Truvada, giallo come l’Isentress. Al silenzio pesante e scomodo della sala buia viene affiancata la speranza rigenerata frutto dei nostri giorni: grazie ai continui progressi scientifici in questo campo, ci stiamo sempre più avvicinando ad una cura definitiva della malattia.


The Incidental Self (2006)

In quest’opera del 2006, Elmgreen&Dragset portano sotto la lente d’ingrandimento ciò che costituisce veramente il concetto di famiglia. 500 sono le fotografie distribuite su tre diverse file di mensole.

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The Incidental Self, 2006

Un numero esagerato, ma voluto, in cui emerge un’identità complessiva fatta di scatti rubati che ritraggono diversi lati delle differenti comunità gay intorno al mondo. Il concetto di ‘quadretto famigliare’ viene qui rielaborato in quantità per permettere all’intera comunità LGBTQ di entrare a farne parte in ogni suo aspetto, trasformandola così in una grande famiglia allargata.

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The Incidental Self, 2006 (Dettagli)

Han (Il Sirenetto), 2012

Se si pensa alla Danimarca, due cose vengono in mente: i biscotti danesi al burro nella scatola blu e la Sirenetta di Edvard Eriksen a Copenhagen. E’ quest’ultimo simbolo nazionale a servire da punto di partenza per Elmgreen&Dragset, che copiandone la posa e la struttura, ne creano una versione maschile.

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Han, 2012, Elsinore (Danimarca)

Di acciaio inox e dal corpo giovane, Han (‘lui’ in danese, ma anche il nome del fidanzato di Micheal Elmgreen) si trova ad Elsingore in Danimarca di fronte al castello di Kronborg, dove l’Amleto di Shakespeare fu ambientato.

Parafrasando la Sirenetta in versione maschile e contemporanea, il duo artistico fa un elogio del corpo maschile volutamente giovane, i cui lineamenti ci ricordano una statua di Antinoo o di Ganimede. (Particolarità: un sistema idraulico permette alla statua di sbattere gli occhi, costringendo i visitatori ad aspettare l’atto anche per un’ora).

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Han, 2012, Elsinore (Danimarca)

Drama Queens (2007)

Come ultima, ma non per importanza, troviamo Drama Queens del 2007. Formatosi in seno alla cultura teatrale, Micheal Elmgreen – assieme a Ingar Dragset – prende di mira il mondo museale, creando una pièce teatrale in cui alcune delle sculture più importanti del mondo dell’arte recitano e comunicano tra di loro. Opere di Alberto Giacometti, Hans Arp, Barbara Hepworth, Sol Lewitt, Andy Warhol, Jeff Koons e Ulrich Rückriem si scambiano battute su un palcoscenico riportando un mélange di commenti propri agli artisti che li hanno creati e di visitatori che li hanno osservati.

In maniera ironica, Elmgreen&Dragset immaginano ciò che succede una volta che il museo chiude, facendosi beffe dello stesso ruolo dell’arte e dei tentativi, spesso difficili, di estrapolare un significato non sempre chiaro da molte opere moderne e contemporanee da parte dei visitatori.

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