Una mostra, inaugurata l’1 febbraio e aperta fino al 3 giugno presso il Museo delle Culture (MUDEC) di Milano, indaga l’universo artistico della pittrice messicana Frida Kahlo.
Frida Kahlo: Oltre il Mito, frutto di sei anni di studi e ricerche, può vantare oltre cento opere tra dipinti, disegni e fotografie provenienti dalle due più importanti collezioni sull’artista al mondo (il Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e la Jacques and Natasha Gelman Collection) e propone una nuova chiave di lettura, imperniata più sull’opera che sulla biografia.
La leggenda che si è creata attorno alla vita dell’artista ha offuscato l’effettiva conoscenza della sua poetica. Tanto si è detto dei suoi traumi familiari, della tormentata relazione con il padre del muralismo Diego Rivera, dell’incidente in autobus che la colse quando aveva 18 anni (a cui ne seguirono tanti altri di assoluta immobilità nel letto), del desiderio frustrato di diventare madre e, perché no, delle amanti di lei: dal compagno Trotskij alla fotografa pasionaria Tina Modotti.
Frida è le sue opere, dunque, e non per quelli che il curatore dell’esposizione Diego Sileo chiama giochi di psicoanalisi amatoriale o per quella curiosità – talvolta eccessivamente morbosa – nei confronti di un’artista ingoiata dal mito. Ma perché è nelle sue opere che Frida fa di se stessa e del suo corpo un manifesto, esponendo una femminilità dirompente e brutale come mai prima di lei. Frida veste con abiti tradizionali, si acconcia i capelli da erede delle antiche popolazioni autoctone, trasforma in sfrontato vezzo le folte sopracciglia e i baffetti.
Il suo linguaggio è sofisticato, nobile mix di mitologia azteca, avanguardia europea e radici popolari messicane. Frida Kahlo è vita e morte nelle sue stesse opere. Come nel celebre La colonna rotta (1944), dove l’iconografia religiosa si fonde con l’orgoglio mai domo di una carne e di un busto squarciati e dilaniati dai chiodi.
O come in Ospedale Henry Ford, dove Frida è stesa in un letto sospeso dopo un aborto. Nuda, sanguinante, solcata dalle lacrime.
In L’amoroso abbraccio dell’universo è la madre del due volte marito Diego Rivera, sopracitato padre del muralismo. Frida è una donna che dona e alimenta la vita.
Negli anni ’70 le femministe hanno riportato in auge la sua figura, ergendola a simbolo di riscossa. Negli anni ’90 grande enfasi è stata posta sulla sua bisessualità. Madonna l’ha sempre amata, Salma Hayek ne ha ritratto un’immagine credibile in un film del 2002. Ed ecco che Frida Kahlo è diventata l’immagine di oggi. Ma c’è una sezione, nella mostra, che approfondisce anche il suo impegno politico. Come quello che nel 1954, a pochi mesi dalla morte, la portò in testa al corteo contro l’intervento degli Stati Uniti in Guatemala.
Frida Kahlo ha giocato con la vita, con la morte e con se stessa, conscia di essere un personaggio. Ma chi può dire di non avere mai giocato?
Il pubblico, ad ogni modo, sembra aver recepito il messaggio: 11.000 visitatori nei primi quattro giorni, per un successo già annunciato.
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