Come perdonare l’amore che ci ha distrutti: il De Profundis di Oscar Wilde

Riscoprire il De Profundis, scritto da Oscar Wilde in carcere per l'amato Bosie.

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3 min. di lettura

Dopo aver sposato nel 1884 Costance Lloyd, figlia di un avvocato di Dublino da cui ebbe due figli, Oscar Wilde conosce il poeta aristocratico Alfred Douglas: sarà un incontro fatale.

Fatale perché trascinerà l’eccentrico dandy glorificato nei salotti letterari e teatrali d’Europa in un vortice senza fondo: i vituperi pubblici del padre di Alfred, querelato da Wilde per diffamazione su esplicito invito del figlio (da sempre in burrascosi rapporti con il padre), lo portano all’incarcerazione e a due anni di lavori forzati per sodomia. I suoi libri vengono ritirati dalle vetrine, i suoi beni venduti all’asta, i figli gli vengono sottratti. Oscar, strumentalizzato dal giovane amante, saluta la gloria terrena.

L’esperienza in carcere cambia profondamente Oscar Wilde: è qui che scrive il De Profundis, una lunga lettera-requisitoria rivolta a Bosie, come affettuosamente Wilde chiamava Alfred, anche grazie all’apporto del nuovo direttore del carcere, il giovane Maggiore Nelson. È lui che lo dispensa quasi interamente dal lavoro manuale ed è lui a procurargli libri, carta e penna. La penna vola e nel De Profundis il cammino è quasi scandito a tappe. Cercheremo di ricostruirle.

Il rimpianto. “Mi biasimo per aver permesso che un’amicizia non intellettuale, un’amicizia il cui scopo primario non era la creazione e la contemplazione di cose belle, dominasse completamente la mia vita”. Wilde sa di aver sbagliato ma sa anche di doversi giustificare agli occhi del suo pubblico.

L’attacco.Quelle scenate incessanti che sembravano esserti quasi fisicamente necessarie e durante le quali tu diventavi una cosa tanto terribile da guardare quanto da ascoltare… Mi sfinisti”. E rincara la dose: “Non c’è stato un solo bicchiere di champagne che tu abbia bevuto in tutti questi anni che non abbia nutrito e ingrassato il tuo odio. E, per gratificarlo, tu hai giocato d’azzardo con la mia vita, come hai giocato con il mio denaro”. Liti e riappacificazioni vengono raccontate come in una commedia: “C’è l’afflizione, il fastidio, il disagio, ma non è solo tragedia: è tutto commedia” racconterà George Bernard Shaw.

Eppure non è stata solo la debolezza a tradirlo: il suo donarsi alla rovina affonda le radici in una motivazione nobile, l’amore. “Qualunque fosse la tua condotta verso di me, sentii sempre che in fondo mi amavi davvero”. L’illusione.

Il consiglio.Il vero pazzo, colui che gli dei deridono o rovinano, è colui che non conosce se stesso. Io lo sono stato per troppo tempo, tu lo fosti per troppo tempo. Non esserlo più. Non aver paura. La superficialità è il vizio supremo”.

Il dolore straziante.Perché non mi hai scritto? Aspettavo una lettera. Il tuo silenzio è stato orribile. Non di settimane o mesi, ma di anni. È un silenzio che non ha scuse”. L’artista, per essere compiutamente tale, deve provare l’ebbrezza del dolore, che secondo Wilde è sempre portatore di verità. “Il dolore non porta maschera” confessa nella lettera.

Il sacrificio necessario.Vedo una connessione assai più intima e immediata tra la vera vita di Cristo e la vera vita dell’artista”. Cristo, descritto come un poeta, è “il vero precursore del movimento romantico della vita. Fu il primo individualista della storia”.

La consapevolezza dell’uomo nuovo: “Posso soltanto accettare quel che mi è successo. Tu venisti da me per imparare il Piacere della Vita e il Piacere dell’Arte. Forse sono stato scelto per insegnarti qualcosa di più splendido: il significato del Dolore e la sua bellezza”.

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Un finale sorprendente: “E la fine di tutto questo è che devo perdonarti. Devo farlo: per il mio bene devo perdonarti. Devo toglierti il fardello e caricarlo sulle mie spalle. Sono pronto a farlo”.

Oscar Wilde consegna questa breve, commovente ed esplosiva lettera a fine detenzione ad un amico, ma non perverrà mai al destinatario. Si dice che questo amico la distrusse dopo averne letto poche righe. Fortunatamente era una copia, e noi oggi possiamo leggerla. Bosie non l’ha fatto.

https://www.gay.it/cultura/news/andre-gide-nobel-oscar-wilde

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Giovanni Di Colere 4.9.17 - 14:02

La lezione di Wilde come biografia personale è qualcosa che gli italiani, dopo un secolo, non hanno ancora compreso. Un conto è l'arte prodotta da un essere umano: che sia scrittore, poeta, musicista, cantante, pittore, scultore e persino attore. Tutto un altro conto è la persona che sta dietro all'artista. Wilde pensò che il pubblico che lo osannava e lo adorava, gli avrebbe perdonato tutto. Non gli perdonò nulla. Noi italiani siamo ossessionati di sapere se quel cantante che ha scritto quella canzone che tanto ci piace poi ci crede davvero in ciò che ha scritto, e pensiamo, da perfetti bamboccioni, che siano la sue personali sofferenze. Ho qualche annetto e mi è capitato più volte il classico incontro "in ascensore" con persone note e notissime, ma anche di averci dovuto avere - ahimé - dovuto anche solo indirettamente a che fare. Alcuni sono esseri veramente cinici, sprezzanti, ributtanti. Alcuni gridano amore verso i poveri gay, in realtà sono omofobi e odiano i gay. E noi ancora là a cercare l'uomo dietro l'artista. Quando è dentro l'arte che va cercato. Pensate che negli USA hanno fatto addirittura dei blog con noti personaggi che maltrattano i camerieri, i commessi, i collaboratori. Detto tutto.

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