Nonostante quello che vi dicono, ecco perché potete leggere (e amare) Oriana Fallaci

Che Oriana Fallaci abbia avuto torto o ragione i suoi libri restano qua, senza alcuna appartenenza a priori.

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5 min. di lettura

Ormai più di dieci anni fa moriva Oriana Fallaci. E nonostante la damnatio memoriae che grava sulla sua figura, vorremmo provare a dire perché, nonostante tutto, i suoi libri meritano di essere letti (o riletti) e la sua figura merita di essere conosciuta, anche dai più giovani.

Una damnatio memoriae imposta essenzialmente come conseguenza per i roventi strali contro l’Islam, che nell’ultima fase della sua produzione Oriana Fallaci ha scagliato – coi suoi due libri La rabbia e l’orgoglio e La forza della ragione – contro quella che lei percepiva come una minaccia alle conquiste e alle libertà occidentali e che hanno portato di fatto alla sua espulsione dalla cultura italiana “rispettabile”, con la relativa, parallela adozione invece da parte di tutta quell’area demagogica e destrorsa dei vari Feltri, Ferrara e addirittura dei Salvini, di tutto un modo col quale Oriana Fallaci non c’entra granché, per storia, stile e riferimenti politici. Aldilà dei tristi giochi italioti dell’attribuzioni di marchi e appartenenze, resta la sua figura e restano i suoi libri, di fatto una delle testimonianze più importanti e originali della storia di questo Paese.

L’ANTIPATICA

Dieci anni fa è scomparsa quell’esile e sfacciata toscana dalle mani nervose che per una vita hanno infierito potenti sui i tasti della macchina da scrivere, accumulando storie, trascrivendo interviste. Il suo viso affilato e protetto, quasi incastrato nell’impeccabile carré lungo, era animato dagli occhi tatuati di eyeliner. Onnipresenti il rossetto, lo smalto e la sigaretta, anzi le tante, tantissime sigarette. Oriana Fallaci è stata molte cose, tra cui il mito reale della sua reclusione a Manhattan, l’esilio voluto, autoimposto negli Stati Uniti, che aveva scelto come patria d’adozione. In quell’appartamento di New York in cui stava rinchiusa leggendo e scrivendo, diffidente e lontana dal mondo, lei che pure nel mondo c’era stata più di chiunque altro, con li suoi reportage e le interviste ai potenti della Terra. Una lontananza dal mondo esito necessario della sua tempra, del suo stile, della sua mente – L’Oriana è un libro aperto. Scritto in cinese, anzi in sanscrito”ha detto di lei la sorella Paola. E infatti Oriana Fallaci perlopiù non fu capita. È stata assimilata ad altro, alle cose che sembravano – apparentemente – più  a lei.

LA SCRITTURA E COSÌ SIA

È soprattutto il tono della scrittura di Oriana Fallaci a essere indimenticabile: la sua pagina tersa, perfetta, formalmente ineccepibile. Letteraria sempre, anche quando parlava dei triviali politici italiani e del degradato mondo della nostra cultura, che spesso peraltro trasfigurava, piegava immaginificamente caricaturizzando, rendendo gli attori della società e della politica qualcosa di più interessante del corrispettivo originale, creature fantastiche, indimenticabili. La sua voce, la sua focosità espressiva hanno fatto appassionare molti alla guerra nel Vietnam, ai primi viaggi nello spazio, ai presidenti americani, alla Resistenza italiana, alla politica internazionale. Perché Oriana Fallaci faceva della cronaca storico-politica con tocco letterario, scriveva da romanziera sempre, anche quando stendeva i suoi articoli da inviata e quando assemblava i suoi reportage. Aveva il talento della nominazione, dell’aggettivazione, una prosa nitida eppure mai convenzionale. Inseguiva il sapore massimo di ogni parola, era custode di una sapienza scrittoria da primo Novecento.

Oriana Fallaci era dotata del potere di rendere letterario tutto, anche la sua malattia, quel cancro che alla fine, nel 2006, l’ha uccisa. Il racconto di come l’abbia trascurato, presa com’era dalla pubblicazione dei suoi libri – che doveva scrivere, editare, tradurre in prima persona – rimane un tratto centrale della sua mitologia. L’immagine di questa donna dallo spirito di titanio, tradita, come tante altre donne eccezionali prima di lei, dal suo stesso corpo, costituisce l’epilogo tragico di una vita straordinaria. Ha continuato fino alla fine a fare tutto che doveva fare – soprattutto a scrivere – nonostante l’Alieno, come lo chiamava lei: “Se tornassi indietro farei esattamente la stessa cosa. Non scherzo, non faccio della poesia quando dico che tra me i miei libri c’è un rapporto materno, che i miei libri sono i miei figli, che come figli li concepisco, li partorisco (…) e tra la propria salute e quella di suo figlio, tra la propria vita e quella di suoi figlio, quale madre non sceglie la salute di suo figlio e la vita di suo figlio?”

ORIANA ALLA GUERRA

Oriana Fallaci era massimamente femminile ma non era una femminista, perché era una che si poteva permettere il lusso di rifiutare e addirittura sfottere il femminismo. Perché lei era il femminismo già realizzato, era femminismo ambulante. Una donna potente, che guardava i maschi dall’alto, che aveva avuto più successo della maggior parte di loro, che nelle interviste li dominava, dettava lei le regole.

Oriana Fallaci fu una donna estrema. Una donna che andò alla guerra: letteralmente, fu la prima donna a redigere reportage dal fronte ma che, in senso più generale, concepì l’esistenza tutta come combattimento e il rapporto con le parole un corpo a corpo e le interviste quasi sempre degli scontri. Oriana Fallaci aveva ben chiaro che le scintille nascono dagli attriti, che i suoni pure derivano dagli urti, che insomma lo scontro è il padre di tutte le cose. E quest’idea, concepita e praticata, l’ha pagata cara. La sensibilità media infatti vuole il racconto edificante, le rassicurazioni, le storie già ascoltate. Mentre Oriana Fallaci si calava nelle guerre che scuotono dal profondo la terra, parlava del conflitto a ogni livello e come terreno propriamente umano. E questo la rese agli occhi di alcuni imperdonabile.

SI PUÒ LEGGERE ORIANA FALLACI?

Da questa natura estrema e poco governabile derivarono gli sfottò, le citazioni nelle canzoni, le parodie, quasi il divieto di pronunciare il suo nome in pubblico: Oriana Fallaci la pazza, la fondamentalista, la guerrafondaia. Vuoi mettere con Terzani? Quante volte la si è vista accostare al celebre giornalista toscano, ben più amato da una certa sinistra delle anime belle, del kilometro zero, dalle signore bene che coltivano un progressismo da salotto da serata a teatro. Oriana Fallaci era una fuoriclasse, ma totalmente libera, sprezzante, ingestibile. Ed era donna. Un connubio che questo paese non ha mai saputo maneggiare, non ha mai saputo risolvere. E infatti Oriana Fallaci se n’è andata, s’è inflitta (o regalata) l’esilio.

Oriana Fallaci era una provocatrice, una suscitatrice di reazioni. Si è posta in modo provocatorio nei confronti della maternità in Lettera a un bambino mai nato, nei confronti della guerra in Niente e così sia, nei confronti dell’amore in Un uomo, nei confronti dell’Islam negli ultimi libri. Non vogliamo qui (e proprio oggi) stare a ragionare su cosa Oriana Fallaci avesse torto e su cosa ragione nell’ultima parte della sua vita, sicuramente la sua era una posizione politica elaborata in solitudine e, come diceva Hannah Arendt, la politica è la dimensione dei molti, della pluralità, quindi già solo per questo gli ultimi libri della scrittrici sono viziati da una contraddizione. Eppure, nonostante questa loro fragilità, vorremmo che non li si lasciasse nelle mani dell’ideologia politica dei populisti e dei reazionari.

L’opera di Oriana Fallaci, se percorsa nella sua interezza, rivela infatti una sua paradossale coerenza. Una coerenza che sfida il senso comune, visto che Fallaci fu antifascista e partigiana e che oggi viene celebrata dai nostalgici del Ventennio. Che Oriana Fallaci abbia avuto torto o ragione i suoi libri restano qua, senza alcuna appartenenza a priori. Libri scritti, a dispetto di quello che vi dicono, non per gli xenofobi e i gli islamofobi, per i nipotini del duce, per i cristiani e gli atei devoti. Libri scritti per necessità vitale, pieni della storia di questo Paese e della vita straordinaria di una donna che quella storia l’ha attraversata da protagonista assoluta.

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Rocco Smith 29.6.17 - 16:04

Pessima. Rancorosa. Paranoica. Complottista. Cattiva. Omofoba, razzista, fascista... ma sapeva scrivere bene le sue cazzate... c'è sicuramente di meglio. p.s. ma 'sto articolo non era già stato pubblicato l'anno scorso? Facciamo come la RAI d'estate?

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Steve Pearl 15.9.16 - 20:14

La scrittura di questa donna trasuda saccenza, arroganza. Illeggibile. Era solo una vecchia stronza snob, anorgasmica e isterica. Ma ora la redazione (l'avete scritto a 8 mani?) ci da l'autorizzazione a leggerla e ad amarla... a quando un'apologia di Hitler e del suo Mein Kampf?

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Giovanni Di Colere 15.9.16 - 11:33

Non mi piaceva quando era una icona femminista e di sinistra né mi piace ora che è diventata l'idolo della destra soprattutto leghista per aver scritto libri contro un mondo intero dell'islam di cui non ha conosciuto che pochi frammenti. Incluso il mondo omosessuale rappresentato in modo stereotipato e cui ha dedicato nel famoso libro frasi biliari di odio e insulto. Ha offeso i gay premettendo "ho molti amici gay". Detto tutto. Evidentemente chi ha scritto questo pezzo non ha letto quel libro. PS oltretutto una che scrive apposta ciliegie senza la i per gesto snobistico da toscano che se la tira mi sta proprio antipatica. Ci ha intitolato pure un libro. Pessimo per altro.

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