SCHIAVO DI SESSO, SCHIAVO D’AMORE

In scena a Milano "Come gocce su pietre roventi" di Fassbinder. Storia di Leopold, perverso edonista, che seduce e sottomette il bel giovane Franz. Il regista Bruni: "Un monito ai gay".

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MILANO – Rainer Werner Fassbinder, regista eccezionalmente prolifico, rappresenta la palese metafora dell’arte in ogni sua forma espressiva; il ritratto di una solitudine interiore, autodistruttiva. La liaison tra amore e morte, passione e dominio è presente come un simulacro nelle opere del regista tedesco fino a spingerlo a conseguenze estreme, alla condanna finale.
E’ così anche in “Come gocce su pietre roventi“, in questi giorni al Teatro dell’Elfo a Milano. Un testo teatrale mai rappresentato, scritto da Fassbinder appena diciannovenne. Una versione cinematografica è stata firmata nel 2000 da François Ozon.

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L’amore non è mai una faccenda privata, ed ecco Franz (Nicola Russo, bello e bravo), la giovane ma consenziente vittima addescata dal meschino Leopold (Ferdinando Bruni), protagonista di questo pseudodramma, finire per essere l’agnello sacrificale in una rete di seduzione, sfruttamento, meschini piaceri in un’orgia di vuoto e miseria umana. Lui, sposo promesso ad Anna (Elena Russo Arman), finisce per legare la sua omosessualità latente a quella dell’uomo che lo conduce a casa; finisce per soccombere al servilismo che lo lega a Leopold più dei rapporti sessuali. Né Anna né Vera (Ida Marinelli), vecchia conquista di Leopold, riusciranno nei loro intenti.
Per questa rappresentazione, l’attore e regista Ferdinando Bruni, ha scelto una scenografia scarna, minimalista, accennata da diapositive, mentre i quattro attori recitano su una lucida piattaforma circondata da pallidi neon e il pubblico fa ala proprio come si trattasse di un’arena dove la belva è lì per rappresentare la sua famelica ferocia e la meschinità umana. L’esasperazione del gioco, la tomba dei sentimenti finisce per veicolare Franz ai più tetri propositi e al suicidio finale. L’edonismo e il melodramma sono un richiamo irresistibile per Fassbinder che qui gioca a scacchi con i suoi personaggi in una partita che odora di schiavismo amoroso, di gioco sessuale in cui chi non domina è destinato a mutare l’alcova amorosa in fredda tomba.
Chi è davvero Leopold? Risponde Ferdinando Bruni: «Una merda, una persona che ha necessità di distruggere gli altri, proprio come un vampiro piccolo borghese che ride sulla sopraffazione degli altri. Tutto sommato un personaggio molto reale ma che riesce a diventare, in qualche modo, un simbolo che va al di là dello sfruttamento del rapporto amoroso, diventa simbolo dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo». Per Leopold l’altro è un soggetto d’uso, da consumare per essere poi buttato via. Questo è in molti casi rapportabile con la società odierna, con i modi di vivere i rapporti con gli altri. “Come gocce su pietre roventi” è una specie di laboratorio di tutti i temi affrontati successivamente da Fassbinder, una specie di prova generale de “Le amare lacrime di Petra Von Kant”, con il ribaltamento che qui la vittima è un giovane.

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Ferdinando Bruni ama definirsi “indossatore di anime”, forse un ruolo difficile per chi come lui affronta non solamente Fassbinder, ma anche Botho Strauss, Berkoff, Testori. «E’ più una responsabilità – replica il regista-attore – che richiede un grosso dispendio di energia e fatica ma anche un grande arricchimento. Il fare teatro per chi recita e chi assiste è un momento di crescita, di studio su di sé, il mondo e il rapporto con gli altri». Quanto è attuale oggi Fassbinder? Bruni si illumina: «Credo che Fassbinder sia uno di quegli autori che è riuscito ad esprimersi andando al di là della sua epoca; una persona legata alla sua stagione e alla Germania di quel periodo che cercava di uscire dal tunnel del senso di colpa per entrare nel consenso europeo. In qualche modo lui racconta quella società, ma riesce a farlo trovando l’universalità, il rapporto umano, parlando di sociale attraverso il rapporto amoroso. Questo, secondo me, lo ha consegnato alla classicità, all’eternità. Quello che dice valeva ieri e vale adesso, perché i meccanismi che stanno dentro queste vicende sono gli stessi: non sono poi così cambiati dai tempi di Fassbinder».
Per Bruni un testo teatrale è il cuore di tutto che necessita di suggestioni, immagini, sensazioni. L’incertezza non deve essere il libretto d’istruzioni dello spettacolo bensì il cuore dello spettacolo. Fassbinder rappresenta spesso l’omosessualità come una discesa negli inferi, forse raccontandoci ciò che veramente siamo. «Meglio – risponde Bruni – sembra dirci: stiamo attenti che il fatto di essere omosessuali non ci salva dalla prevaricazione. Il problema sta nel non fare diventare un rapporto l’assalto di uno sull’altro. Una cosa precisa che c’è in “Gocce” è il fatto che nel rapporto tra Franz e Anna si riproduce il rapporto che c’è fra Leopold e Franz. Ci dice che non è questione di omosessualità o eterosessualità ma di sguardo sull’altro». Ferdinando Bruni, dopo questo spettacolo, riprenderà “Il Mercante di Venezia” e insieme a Francesco Frongia “La Tempesta” di Shakespeare, in attesa di riprendere l’antico sodalizio con Elio De Capitani.
Uno dei problemi per chi fa spettacolo è lo stile. In realtà ci si deve lasciare affascinare dal testo. Con “Come gocce su pietre roventi”, Ferdinando Bruni e i suoi eccellenti attori, non solo esibiscono uno stile riuscito, in più riescono ad affascinare.
Come gocce su pietre roventi
di R.W.Fassbinder
Regia di Ferdinando Bruni
Teatro dell’Elfo
Via C. Menotti, 11 Milano
Tel. 02.716791
Feriali h. 20,45 – Festivi h. 16.00
Fino al 6 febbraio

di Mario Cirrito

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