MILANO – “Solo le persone sane e senza dolore possono vivere rivolte verso il futuro! Le altre – malate e piene di dolore – sono lì, a mezza strada, senza certezze, senza convinzioni e magari tuttora, almeno in parte, vittime del conformismo e dei dogmi di una storia ancora più vecchia, contro cui hanno tanto combattuto: e, se poi partecipano alle nuove lotte, lo fanno senza fiducia, senza ottimismo, e con le bandiere che penzolano come stracci. Così, almeno, in questa nottata del 1967”.
Così introduce, una voce fuori campo, la storia di Rosaura nel dramma teatrale Calderon di Pier Paolo Pasolini, in scena al Teatro Litta di Milano.
La diversità come simbolo di appartenenza ad una umanità senza potere è la “ouverture” di questo unico dramma teatrale pubblicato in vita da Pier Paolo Pasolini nel 1973 presso Garzanti. Rosaura, la protagonista, è una donna capace di sognare, di incarnarsi in una diversità che la allontana dai suoi obblighi nel suo essere donna, figlia, o del suo essere madre. Questa voglia di infrangere ruoli e sottrarsi ad ogni giudizio morale la allontanano da un potere che non concede e non perdona qualsivoglia desiderio di diversità.
E per Rosaura c’è solamente la possibilità onirica per raggiungere una luce di un amore diverso: “sogni che non fanno svegliare!”.
Siamo nella Spagna franchista del 1967, un Paese in cui il potere dello Stato e il potere della Chiesa sono fortemente radicati nel tessuto sociale e guai a non seguire ogni regola o legge imposta. L’omosessualità che fa di un uomo una “donnicciola” è immorale e da abiurare. La donna dovrà essere fedele e vivere per la maternità e per onorare la supremazia del maschio.
E così a Rosaura non resta che il sogno, una triade ambientale per attraversare le principali condizioni sociali: aristocratica, medioborghese e proletaria.
Nel primo sogno Rosaura si desta in una casa patrizia, figlia di Basilio, un signore dalle immense ricchezze. Il suo cuore è rapito da un avventuriero: Sigismondo che, scoprirà poi, essere suo padre.
Il secondo sogno riporta Rosaura tra vecchie baracche alla periferia di Barcellona. E’ lì che dona il suo corpo a pagamento, è lì che incontra l’aitante Pablito, suo cliente, e se ne innamora perdutamente. Scoprirà che quel ragazzo è suo figlio, venuto al mondo in seguito ad uno stupro e venduto a sua insaputa a una nuova famiglia.
Nel terzo e ultimo sogno, la donna vive in una casa borghese: moglie annoiata e rassegnata ad un destino melenso e in preda a deliri. Ha quarantanni e si innamora di Enrique, uno studente rivoluzionario di diciannove anni.
Calderon si chiude con Rosaura “trasmigrata” in uno scheletro bianco quasi senza più capelli, nella cuccia. E’ una delle vittime di un lager nazista liberato da un drappello di operai comunisti che intonano canti rivoluzionari e di libertà.
Un lavoro emblematico questa opera che risulta essere tra le meno celebrate del vasto repertorio pasoliniano. Ma la grandezza di Pasolini sta proprio nella rappresentazione di Rosaura come una donna che si ritrova nell’impossibilità di evadere dalla propria condizione sociale; la vita come fuga dalla realtà in un perenne sogno di riscatto. Il tema della diversità accompagna tutte le azioni sceniche tra visioni, citazioni, poesia in un potente affresco sul vivere umano, alla luce di amori diversi e quindi ritenuti immorali. Pasolini ispirò quest’opera a La vita è sogno di Calderon de la Barca, un tragediografo spagnolo vissuto tra il 1600 e il 1681.
Di Calderon ricordiamo una splendida versione teatrale messa in scena da Luca Ronconi con la scenografia di Gae Aulenti e due versioni cinematografiche firmate da Pressburger e Miklòs Jancsò.
Calderon è presentata a Milano dalla Compagnia stabile del Teatro Litta con Raffaella Boscolo, Gaetano Callegari, Raffaele Esposito e Paolo Scheriani. La scenografia è curata da Andrea Taddei. Antonio Syxty firma la regia di questo testo complesso e affascinante. Da vedere!
Al teatro Litta di Milano, C.so Magenta 24, dal 7/1 al 2/2/2003
di Mario Cirrito
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