#BlackProtest: sciopero generale delle donne in Polonia contro il divieto d’aborto

Dopo l'approvazione della legge che vieta quasi totalmente l'aborto, le donne polacche scendono in piazza. E la comunità LGBTI deve sostenerle.

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2 min. di lettura

È recente l’approvazione alla camera bassa del parlamento polacco del disegno di legge che vieterebbe quasi del tutto l’aborto (ne abbiamo parlato qui). Le donne della Polonia, libere e femministe, hanno indetto per oggi 3 ottobre 2016 uno sciopero generale delle donne. Inserito nel ciclo di proteste contro la proposta antiabortista, lo sciopero è lanciato con l’hashtag #BlackProtest (#CzarnyProtest in polacco), e coinvolge tutto il paese est europeo. Le organizzatrici invitano tutte le donne polacche a lasciare per un giorno il lavoro, le faccende di casa, la spesa, occuparsi dei figli. Le donne, per un giorno, devono sparire dalle case e dal lavoro, per ritrovarsi nelle piazze.

Alle piazze polacche si aggiunge una lunga lista di città da tutto il mondo: Londra, Washington, New York, Vienna, Bruxelles, Shanghai, Helsinki, Lione, Parigi, Barcellona, Berlino, Vancouver, Ginevra, Zurigo, Stoccolma, Oslo e le italiane Bologna e Torino. Ma questo argomento, al di là della solidarietà, tocca anche le persone LGBT?

Il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (o meglio: il diritto a essere libere di decidere, una volta adeguatamente informate, se interrompere la gravidanza) rientra in quel disegno vasto che è l’autodeterminazione dell’individuo e il conseguente diritto all’autodeterminazione. Questo concetto trova una forte teorizzazione nel movimento femminista storico e significa, semplificando estremamente, che l’individuo deve essere libero di decidere per sé stesso, dunque, cancellando ogni genere di sostituzione alla coscienza della persona. Questo principio è applicabile in svariati campi: questioni di genere e delle donne, tematiche LGBT, disabilità, etc. Ed è proprio qui che le lotte delle donne polacche devono intessersi con quelle del movimento. Eppure.

L’intersezione delle lotte, ovvero l’incontro di battaglie di natura diversa, è un concetto presente in molti paesi dell’occidente. L’ultimo esempio è ravvisabile nel movimento Black Lives Matters, nato contro le violenze sui cittadini neri degli States, che ha presto allargato le proprie tematiche verso il mondo LGBTQI, con particolare attenzione alle situazioni più marginali. In Italia siamo ancora agli albori di questo tipo di pratiche, anche se qualcosa si sta muovendo.

La #BlackProtest polacca può essere un ottimo banco di prova per le realtà LGBT e affini per poter occuparsi di temi differenti da quelli “classici”. Peraltro, con un movimento femminista come quello italiano, dove alcune si occupano più volentieri (e in modo confuso) di tematiche pretestuose e lontane anni luce dal momento presente, piuttosto che rivolgere il proprio sguardo a soli mille chilometri dall’Italia. In Polonia si sta per istituzionalizzare uno dei crimini più efferati contro l’essere umano dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, eppure le nostre femministe impiegano il proprio tempo a tirarsi gli stracci in faccia sulla GPA. Per questo un movimento LGBT forte può occuparsi di questo tema, in concerto con quella parte di femministe non contaminate dal paternalismo.

fonti: ilpost.it, bossy.it, lastampa.it,

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mountainlion 4.10.16 - 8:52

Bravo ! Bell'articolo conciso e deciso ! Sarebbe auspicabile che il movimento LGBT fosse in prima linea, o ancora meglio promotore, nelle battaglie per i diritti civili che sono diritti di tutti.

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fabulousone 3.10.16 - 16:29

Condivido molto questo articolo. Il diritto all'autodeterminazione è fondamentale, e ci riguarda tutti. Spero se ne rendano conto prima o poi anche le femministe retrograde e, appunto, paternaliste che andando a braccetto col vaticano si scagliano contro cose sacrosante come la prostituzione, il porno o la gestazione per altri, arrivando fare appelli osceni e liberticidi come quello uscito in questi giorni e gettando di fatto le basi per la messa in discussione dell'aborto stesso. Già, perché una volta che la libertà di gestire i propri genitali esterni e interni viene trasferita dall'individuo allo Stato, una volta che si accetta che lo Stato imponga alle singole persone cosa fare o non fare coi propri genitali -vedasi l'utero- quando si tratta di voler mettere al mondo una vita, non c'è logica per opporsi al fatto che lo Stato si possa mettere a imporre alle singole persone cosa fare o non fare coi propri genitali quando si tratta di non voler mettere al mondo una vita.

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