Charmantissima in blu notte, otto vistosi anelli alle dita, la grazia di sempre: Fanny Ardant ha sedotto il 70esimo Festival di Locarno, la più rilassante e deliziosa tra le grandi cinekermesse europee (non si fanno code, il clima è primaverile, i locali magnifici) diretto dal bravissimo Carlo Chatrian, sostenitore del talento ebraico di Avishai Sivan – l’eccentrico Tikkun – della conferma di Hong-Sang Soo, dell’addio di Chantal Akerman.
Ma ecco la sorpresa: Fanny Ardant è una trans paterna. Sì, la suprema attrice francese, amore della porta accanto di François Truffaut che le avrebbe dato Josephine – La Signora della Porta Accanto resta il suo capolavoro inarrivabile – amante della Deneuve in Otto donne un mistero di Ozon, sodomizzata per piacere ne L’odore del sangue di Mario Martone, si è evoluta in una splendida trans (del resto nella vita ha avuto solo figlie femmine).
Sì, la Regina Eva della pochade gay Di giorno e di notte ha presentato ai Ghepardini, l’affezionato pubblico e critica del Festival di Locarno, il dramma franco-belga Lola Pater – inizialmente i finanziatori volevano una commedia – del regista franco-marocchino Nadir Moknèche, presentato nella sezione Piazza Grande, la magnifica sala a cielo aperto da 8000 posti nel cuore di Locarno.
Tutto su mia madre e mio padre: lei è Farid, un uomo che ha abbandonato da piccolo il figlio Zinedine detto Zino (il fascinoso Tewfik Jallab) e lo ritrova dopo venticinque anni, quando ha terminato la transizione nella bellissima Lola – “se cambiassi sesso, sceglierei questo nome” ha dichiarato il regista – ma l’incontro col ragazzo è traumatico: lui non accetta questa madre ‘paterna’, lei cerca una riconciliazione che si rivela estremamente complesso.
“Ho molto amato la sceneggiatura – ha dichiarato la Ardant – ci sono sentimenti forti, amori incredibili. Del mio personaggio ho amato il carattere, il mix tra fantasia e il resto, l’incontro col figlio. Mi premeva capire se il sentimento femminile è diverso da quello paterno. Tante cose. Ho poi incontrato il regista, una persona intelligente. Ogni film è un’avventura ma questo di più: è un ruolo che non ha mai interpretato prima. Cerco registi che guardino oltre le apparenze, avevo fiducia in Nadir. Ho interpretato il ruolo con una forma di incoscienza, come i cani che vanno nella foresta. Non ho visto transessuali, non ho frequentato bar orientali di danza del ventre: sapevo che Nadir sarebbe stato una specie di angelo guardiano, una sorta di giardiniere per me […] L’attore non è un mestiere come gli altri: c’è l’ambiguità. Ci vuole passione, il piacere di ricominciare da capo. Non è un mestiere, in realtà: è uno stato dell’anima”.
La domanda sorge spontanea al regista: “Ha pensato di affidare la parte un attore realmente transgender?”.
“Sì e no. Ci ho pensato al fatto di prendere un attore transgender. Il motivo è che non esistono ancora attori transgender di professione e io sento il bisogno di lavorare con gente ben formata nel mestiere. Ma questo non è un mestiere come gli altri. Spero che tra dieci, vent’anni ce ne saranno: allora, però, non dovrebbero vedersi affidare solo parti di transessuali, ma anche, per esempio, quella di Lady Macbeth o simili. Non ho visto Transparent ma ho letto vari articoli su questa serie. […]
Mia mamma a pranzo però mi diceva: ‘Prendi l’Ardant, prendi l’Ardant!’”.
C’è chi chiede come la destra frontista francese accoglierà il film: “Ci sono movimenti contro, conservatori – risponde il regista – ma molti vedranno soprattutto l’incontro tra un padre e un figlio: ho perso mio padre quando avevo tre anni. Non l’ho conosciuto e mi sono chiesto come sarebbe stato se fosse rimasto con me, come sarebbe stato bere un bicchiere con lui. Sarei stato in conflitto con lui?”
“Il mio personaggio di Lola, con un grande amore per la vita, – conclude la Ardant – ha dovuto combattere da piccolo col padre e con la sua scelta da adulta. L’unico amore era sua moglie che le ha dato il permesso di fare la vita che voleva. È trans e continua ad amare le donne”.
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