Come fanno l’amore due donne? Chi non se lo è chiesto? Tutti gli uomini, questo è certo. Ma anche tutte le donne: perché, prima o poi, ognuna di esse si è domandata cosa c’è da mettere dentro quando non c’è niente da mettere dentro. E allora, pensano, è necessario ricorrere a giochetti erotici meglio identificati come «falli», in vendita in qualunque sexy shop. L’idea generale, quella sbagliata.
Si tende a voler per forza infilare qualcosa il più simile possibile a un organo sessuale maschile all’interno di una donna, per concederle un orgasmo. Premesso che di orgasmi le donne ne hanno più di uno: e questo non va spiegato (o forse si). Premesso anche che possono procurarsene, da sole, tutti quelli che vogliono (la masturbazione è una pratica unica di avvicinamento al proprio corpo). Ma, volendosi a tutti i costi addentrare nel letto di due donne, non s’inciamperà in nessun genere di oggetto di plastica né di gomma. Non si scivolerà nemmeno, per arrivare al letto, in pallette cinesi o in bucce di banana. Insomma, potrà anche procedersi a luce spenta, senza il rischio di trovarsi in mezzo a un kit di utensili sostitutivi di un sesso mancato.
Due donne, fra di loro, fanno l’amore da donne. Tutto il resto è in più ed anche scomodo.
Una donna non cerca nell’altra alcun simbolo maschile, perché quello che le basta è quello che ha davanti a sé. E il termine «basta» è il più scorretto: la donna non si fa bastare nulla, non si accontenta. L’una di fronte all’altra, non manca nulla. Ma ciò non balza agli occhi, e ad ogni lesbica, prima o poi, capita di sentirsi dire: «Scusa l’indiscrezione, ma come lo fate l’amore tra donne?».
Si scarti il mito del vibratore. C’è chi non lo ha nemmeno mai provato, c’è chi non lo vuole provare. Nessun preconcetto: semplicemente, non serve. Questo anche per sfatare l’altro mito, quello della camionista. Chi utilizza arnesi per fare sesso, lo fa come lo farebbe con un uomo: è qualcosa in più, un gioco. In altre lingue il vibratore è altrimenti detto «consolatore»: ci sarà una ragione, allora. Ed il nome è già intrinsecamente maschilista, come se solo l’uomo – o la sua riproduzione in gomma – potesse «consolare» la donna. La donna ha una sensibilità che né un consolatore, nè un uomo posseggono. È con quella che fa l’amore a un’altra donna. Ed ecco che l’amore diventa un toccarsi, un accarezzarsi, un vibrarsi addosso: niente a che vedere con la consolazione.
Non esistendo alcuna forma predefinita di praticare il sesso tra donne, non vi è nemmeno una introduzione di A in B (pur potendosi comprare un vibratore e fare la parte dell’uomo, questo non è l’impulso predominante delle donne): nelle relazioni lesbiche si mostra creatività reciproca e rinnovamento continuo al momento di condividere corpi, fantasie e significati. Gli orgasmi sono più numerosi e più frequenti nelle relazioni sessuali lesbiche, più sensuali e durature. Due donne avranno entrambe più di un orgasmo e di diverso tipo, e difficilmente una delle due resterà insoddisfatta.
Si provi, invece, ad ascoltare l’eterosessuale media parlare dei propri rapporti, e si sentirà la solita cantilena: venire e non venire, come venire, perché venire, non venire sempre, non venire mai. Ci si accorge, allora, che quasi ogni eterosessuale non conosce se stessa né i propri orgasmi. Ma come, l’uomo non era un consolatore? Allora forse, se è un consolatore, si limita a consolare su ciò che non sa dare. Tutto ciò non rende le donne nemiche degli uomini, semplicemente diverse: una delle differenze fondamentali tra il rapporto sessuale lesbico e quello eterosessuale è che il primo non termina quando una delle due partners raggiunge l’orgasmo, proprio perché, per la donna, l’orgasmo non finisce con l’eccitazione sessuale.
Il sesso delle donne ha ripercussioni fondamentali non solo sul mondo omosessuale bensì, più in generale, sull’espressione sessuale femminile. Non si guardi allora alla lesbica come a una donna che non ha quanto vorrebbe avere, che con un’altra si attorciglia in un letto alla ricerca delle pose più indicate e più vicine all’orgasmo, che in fondo non ha dentro di sé quello che una donna merita. Una donna non ha bisogno di essere penetrata con falli di gomma o di carne per sentirsi tale, perché essa lo è ancor prima di conoscere un uomo. E, a dire il vero, prima è qualcosa di meglio.
Accendi la musica. Balliamo insieme, in un abbraccio serrato, come una coppia di omosessuali anni Cinquanta. Se qualcuno bussa alla porta non risponderemo. Se risponderemo diremo: è la mia segretaria. Sentiamo solo la musica, oleosa come un tubo di crema che ci unge mentre rotoliamo sul pavimento. L’ho aspettata tutta la settimana. Tutta la settimana è stata scandita da orologi e calendari. Temevo che avrebbe citofonato giovedì per dire che non poteva venire, come talvolta succede, anche se stiamo insieme solo un weekend su cinque e solo qualche ora rubata dopo l’ufficio.
Inarca il suo corpo come un gatto che si stira. Strofina la fica sulla mia faccia come una puledra contro lo steccato. Ha l’odore del mare. Ha l’odore di quelle pozze d’acqua fra le rocce della mia infanzia. C’è dentro una stella marina. Mi acquatto per assaporare il sale, faccio scorrere le dita intorno al bordo. Si apre e si chiude come un anemone marino. Ogni giorno si muove con nuove ondate di desiderio.
Il sole non si ferma dietro gli scuri. La stanza è investita di luce che forma onde sinuose sul tappeto. Nel tappeto, che sembrava così rispettabile dentro il negozio, ora c’è un harem rosso. Mi avevano detto che era rosso vino.
Controluce si appoggia a una verga di luce. Sotto le sue ciglia la luce si scompone in tanti colori. Vuole che la luce la penetri, rompa il pesante gelo dell’anima che niente ha scaldato da più estati di quante lei possa contare. Suo marito la copre come una tela cerata. Entra dentro di lei come fosse una palude. Lei lo ama e lui ama lei. Sono ancora sposati, no?
Domenica, dopo che lei se ne è andata, posso aprire le tende, caricare l’orologio e tenere i piatti ammucchiati intorno al letto. Posso prepararmi il pranzo con gli avanzi e pensare a lei, a casa sua per il pranzo domenicale, mentre ascolta il ticchettio gentile dell’orologio e il rumore di mani indaffarate che le preparano un bagno. Suo marito sarà dispiaciuto per lei, con le borse sotto gli occhi, distrutta. Povera piccola, non ha chiuso occhio. Le rimbocca le lenzuola. Io porto quelle nostre, sporche, in lavanderia.
Sono queste le cose che spingono un cuore infranto verso tutte le Jacqueline di questa terra, e tutte le Jacqueline di questa terra verso queste stesse cose. C’è un altro modo? La felicità è sempre un compromesso?
(Jeanette Winterson, Scritto sul corpo)
di Romina Reale
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