Nella puntata di domenica dello show Le Iene è andato in onda un servizio che collega in modo inquietante omofobia, bufale su Facebook e una rete di siti specializzati in fake news per fare profitto.
Matteo Viviani ha incontrato Francesca Brancati, attivista per i diritti LGBT e lesbica, che un bel giorno ha trovato su Facebook la propria foto accostata ad una notizia agghiacciante: “Coppia lesbica picchia a morte bambino di 4 anni. Non voleva dire papà“.
Il fatto è purtroppo vero, anche se è accaduto in Sud Africa più di 10 anni fa, ma contro ogni logica giornalistica la pagina Facebook “Il Giornale Web” non solo la riporta come attuale ma vi associa la foto di Francesca con la sua ex-compagna, provocando un danno d’immagine e uno shock terribile.
Francesca ha le spalle larghe e dopo tanti anni di lotta sa come agire: parte la denuncia, ma la donna giustamente si chiede: “E se fosse successo a qualcuno di più fragile?”.
L’inviato Mediaset riesce a raggiungere Vincenzo Todaro, il gestore della pagina Facebook (che in realtà ne gestisce molte altre insieme a decine di blog dedicati alle fake news), il quale si giustifica in modo grottesco: “Ho scelto la foto di due lesbiche a caso per far capire di cosa parla l’articolo”.
Durante il servizio Todaro tra l’altro esprime in continuazione la sua omofobia e il suo sessismo ( tempo fa balzò alla cronaca per aver fatto credere a Maurizio Gasparri che due ragazze italiane rapite in Siria avevano fatto sesso con i rapitori) e continua ad invocare una presunta “lotta al sistema” che giustificherebbe ogni sua azione.
Tutte le “notizie” che Todaro e la sua galassia di siti si impegnano a diffondere fanno leva sui sentimenti più biechi: omofobia, razzismo, violenza, odio. Una macchina che fa soldi sulla pelle degli altri, infestando internet di contenuti vergognosi creando di fatto una sorta di realtà parallela, un mondo in cui circolano in maniera del tutto incontrollata bufale, notizie false, ingiurie sotto il segno della frase “vi proponiamo tutto quello che i media tradizionali non vi faranno mai vedere”.
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La diffamazione non era un reato grave?