Rick Owens fa il suo. E non gliene frega niente di quello che fanno gli altri. Evidentemente funziona. Se il basic è ormai affermato nel mondo dello street style di lusso e i pantaloni drop-crotch come le giacche di pelle hanno perso del tutto l’alone cyber-dark che avevano all’inizio, assicurando al brand fatturato stabile, in passerella si è liberi di delirare.
Una separazione delle carriere che pare sufficientemente fair.
In passerella quindi le speculazioni senza forma ma riconoscibilissime a cui siamo abituati.
Non è neanche un’affermazione sul gender o la sua assenza. Siamo semplicemente oltre. I corpi non sono altro che corpi, da coprire con un primitivismo post-apocalittico.
Il tessuto si attorciglia su se stesso creano fasce muscolari che si fanno corazza.
Pantaloni enormi che potrebbero venire dall’estetica rave, ma la soundtrack è di Neil Young, quindi vai un po’ a capire.
Ci fu una dichiarazione in tempi non lontanissimi, ma nel mondo della moda sembra parlare di ere geologiche fa in cui le teste dei designer a capo dei grandi brand saltavano come tappi di champagne nei backstage, e tutti ci si interrogava se non fosse giunto il momento di sedersi attorno a un tavolo e chiedersi quanto la successione fittissima delle presentazioni, con le ormai irrinunciabili cruise e resort, fosse veramente sostenibile a livello di creatività e mole di lavoro. Pareva giunto il momento di tornare a quote più normali, lentezze necessarie. Intervistato sull’argomento Rick Owens ripose che a lui non pareva proprio, e anzi lo eccitava questo dinamismo estremo e sfiancante che avrebbe quasi potuto produrre di più. E non aveva torto, basta guardare il suo mondo e come funziona, a uno che fa questa cosa qui e per di più funziona, del tempo che je frega?
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