LOTTATE PER I VOSTRI DIRITTI

Intervista a Teresa De Sio, che il 27 è a Salerno con "Da Napoli a Bahia", un progetto in cui s'incontrano terre e musicisti lontani. Contro ogni discriminazione, anche quella antigay.

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MILANO – «Non lo comprendo. Non capisco perché ai gay italiani vengano negati diritti che in quasi tutti i Paesi occidentali diventano cultura di libertà». Teresa De Sio riflette, sorride e si capisce che le parole partono dal cuore rispecchiandosi nei sapori di libertà e nella cultura delle diversità. Un artista iconoclasta che trasmette messaggi d’amore e di libertà, sospesa tra la mediterraneità partenopea e il desiderio mai tradito di contaminazione tra musica e valori umani, arte e poesia che spezzano confini e discriminazioni. Alla fine degli anni settanta, Teresa De Sio, si fece conoscere attraverso l’ensamble tra folk e canzone d’autore con Musica Nova. Decide poi di passare al cantautorato con “Sulla Terra Sulla Luna”, album del 1980 e due anni dopo conquista generazioni di fans con “Voglia ‘e turnà”.

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Il disco che ha quel brano e porta il suo nome è acquistato da mezzo milione di persone e conquista la critica per quel crossover sofisficato che la distingue. Altri successi, tournée e quella voce che duetta con gli strumenti che accompagnano le sue canzoni si fa sempre più sofisticata e dialogante con il pubblico. Da un incontro con Giovanni Soldini nasce “Da Napoli a Bahia”, un progetto ambizioso dove cultura musicale e letteraria viaggiano lungo un tratto di mare in cui s’incontrano terre e musicisti che scavalcano razze e opinioni. Soldini diventa lo skipper ideale e Teresa musa itinerante che da Napoli passa per Capo Verde, Cuba e approda a Bahia, con i suoi artisti e le loro radici musicali. Il porto è il luogo dove nascono le culture di mare. L’appuntamento è nel porto di Salerno il 27 luglio, con ingresso libero. Assieme a Teresa De Sio si esibiranno: Lenine (musica brasiliana), Ondina Santos (Capo Verde), Lino Perez Wilson (Cuba), Mariana De Moraes (Bahia). Aspettando l’evento la De Sio si racconta a Gay.it.

Teresa, tu canti contro ogni discriminazione. In Italia riguarda anche i gay?

Certo. Eppure la cultura mediterranea, i “femminielli” napoletani, dovrebbero portarci a considerare una cultura della diversità che arricchisce la gente. Non capisco perché certi diritti devono essere patrimonio di una parte della popolazione come fosse una casta protetta. Ma anche i gay devono poter cambiare gocce di lotte e rivendicazioni che unite possano formare un oceano di luce.

Sei a favore delle coppie di fatto?

Non vedo come non potrei. Non capisco perché ancora non esista questo istituto che non serve solamente alle coppie gay.

Una coppia gay è in grado di adottare?

Una riflessione è obbligatoria. Oggi penso sia giusto, anche alla luce di quello che si vede nelle famiglie tradizionali.

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Parliamo di questo evento, il 27, nel porto di Salerno.

Questo concerto è concepito come il racconto di un viaggio in barca a vela, scritto insieme a Giovanni Soldini che mi ha dato delle belle dritte su come andare per mare.

Quando è nato “Da Napoli a Bahia”?

Due anni fa. Pensavo che Giovanni mi avrebbe dato della pazza e, invece, è rimasto entusiasta.

Con questo progetto andate a toccare le viscere musicali ed etniche della storia umana.

Mi piace quello che dici perché la penso così, proprio come l’hai detta tu.

Paesi con una cultura primordiale, antica e un linguaggio musicale atavico.

Certo, perfetto! Io credo nella vicinanza tra la musica mediterranea e quella brasiliana. Non per nulla i poeti napoletani e brasiliani scrivono usando la stessa materia che è spiritualità ma anche carnalità, sensualità, erotismo. E questo spettacolo è nato proprio per raccontare la comunione che attraversa popoli diversi.

Chi sono stati i tuoi maestri?

Mia madre e mio zio avevano comprato un disco di De Andrè che ascoltavano chiusi in salotto perché conteneva parolacce. Questo divieto ha scatenato in me la passione per questo cantautore.

Ricordi il titolo del brano?

Bocca di rosa.

Pensavo più ad una formazione musicale partenopea, tra vicoli e scugnizzi.

No, io non sono nata nei vicoli, sarebbe una forzatura non negarlo, anche se so che farebbe piacere a molti.. Sono arrivata alla scoperta della musica napoletana, questo patrimonio immenso e meraviglioso che oggi è parte integrante della mia anima.

Però se dico Teresa De Sio, tutti accennano a “Voglia ‘e turna”.

Ne sono consapevole e fiera. Ma la mia formazione non è stata quella delle voci dei vicoli. Da piccola non abitavo a Napoli ma a Cava dei Tirreni. Mia nonna cantava canzoni napoletane per farmi addormentare, risvegliando in me qualcosa che era latente.

Chiudere gli occhi e riposare con sonorità partenopee. Cos’è poesia?

Anche. Addormentarsi nella musica significa tornare nel liquido amniotico, alle origini. Ed è questa sensazione meravigliosa che ho cercato di rievocare quando ho registrato “Toledo e Regina”.

Altri oltre De Andrè?

Bob Dylan, la Mitchell e poi l’incontro folgorante con la musica popolare.

Nell’88 gli incontri con Brian Eno e Michael Brook.

Componiamo “La Storia Vera di Lupita Mendera” anche se Eno aveva partecipato 3 anni prima all’album “Africana”. Volevo anche togliermi, appunto, quel clichè da “Voglia ‘e turna” e cimentare la mia voce su altri righi musicali. I motivi per cui ho collaborato con Eno sono questi. Quelli per cui lui ha collaborato con me è che, a volte, il padreterno è buono e ci fa dei regali.

“Primo viene l’amore” è un tuo lavoro del ’97. Quali sono oggi le priorità di Teresa De Sio?

Mantenere intatto il mio sentire, la capacità di percepire il mondo. Di non rimanere troppo condizionata da quel che succede. Faccio fatica a rispondere visto quello che abbiamo attorno così duro e difficile. Molte libertà sono alienate e molte conquiste smarrite chissà dove e come.

C’è quasi più guerra che musica.

Sì! C’è quasi più guerra che musica! Come artista cerco di mantenere intatto il senso della purezza.

di Mario Cirrito

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