MIA MARTINI, UN MITO CHE NON MUORE

Gli esordi, l'incontro con Fossati, il buio, la rinascita. A cinque anni dalla scomparsa di una fra le artiste più importanti del panorama musicale italiano, QX la ricorda ripercorrendo la sua carriera artistica. Un omaggio alla grande Mimì, che con la sua voce ha accompagnato, negli anni, la vita di tutti noi. E ancora canta.

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In un triste maggio di cinque anni fa moriva Mia Martini, sola, nel suo appartamento milanese. La sua morte resta circondata da un alone di mistero: nessuno ha saputo se le voci che insistentemente circolarono, parlando di suicidio, fossero fondate. Loredana Bertè, la sorella che ha avuto un controverso rapporto con Mia, ha negato con forza la tesi del suicidio, affermando tuttavia che la vita di Mia Martini, a causa dello spietato ambiente dello spettacolo, non è stata facile. Il rispetto della memoria di una grande artista impone dunque il silenzio sulla sua morte. Ma nel quinto anniversario della sua scomparsa QX vuole ricordare la sua vita. Perché Mia martini, alta classe e musica di qualità, è stata la compagna dell’adolescenza e della maturità di molti ragazzi e ragazze, uomini e donne gay. E, con la sua grande voce e le sue intense interpretazioni, lo è ancora. Sobria e discreta, essenziale e ribelle, lascia di sé un’immagine incancellabile. Nata a Bagnara Calabra il 20 settembre 1947, con il suo vero nome – Domenica Bertè – incide il suo primo 45 giri, che si intitola “I miei baci non puoi scordare”. Ha solo quindici anni. Cantava nelle feste di paese, partecipava a concorsi per voci nuove. La svolta fu l’incontro con Carlo Alberto Rossi, che le crea un immagine, quella della ragazzina ye ye, che non le corrisponde, ma che la fa notare da settimanali musicali importanti. Ed è “Tuttomusica” che si accorge di lei e la inserisce in un gruppo chiamato La greffa. Ma la cover di un successo inglese, “In summer”, non ottiene il successo sperato. Siamo nel 1964: la ragazza si fa notare con un terzo singolo, dal titolo “Il magone” (1964). La sua immagine è adesso quella dell’adolescente romantica e spensierata: viene invitata a partecipare come ospite giovane allo show televisivo Teatro 10 condotto da Lelio Luttazzi, dove interpreta un motivo in linea con quell’immagine: “E adesso che abbiamo litigato”. Ci sono tutte le premesse per un lancio in grane stile. Ma la sua carriera subisce un primo, inspiegabile stop. E di lei si perdono le tracce fino al 1971 E’ allora che dalle ceneri di Domenica Bertè nasce, come un fiore, Mia Martini: la sua partecipazione al primo Festival d’avanguardia e nuove tendenze di Viareggio la consacra vincitrice con “Padre davvero”, che le apre la porta della fama e del successo, creandole finalmente un’immagine più autentica, anticonformista e dissacrante. Una ragazza si scaglia contro un padre-padrone: roba forte per quei tempi. È così che nasce, ad opera di Alberico Crocetta, scopritore e produttore di talenti, il primo album “Oltre la collina”, tra i cui autori figura anche Claudio Baglioni. Da quel momento fioccano i successi, e le belle canzoni che ancora oggi si ascoltano come non fosse passato un giorno.

Nell’aprile del 1972, scaduto il contratto con la Rca, Mia Martini passa alla Ricordi e incide “Piccolo uomo”, frutto della sua collaborazione con Bruno Lauzi. Il disco rimane per cinque mesi ai vertici delle classifiche nazionali, vince l’edizione del Festivalbar, diventa un successo anche in Francia, Spagna e America latina. Nell’autunno dello stesso anno partecipa alla Mostra Internazionale di musica leggera di Venezia, con “Donna sola”, e incide un nuovo album, “Il giorno dopo”, molto bello: tra le canzoni, “Ma quale amore” di Antonello Venditti quando Venditti sapeva scrivere belle canzoni, la cover di “Your song” di Elton John e la splendida “Signora” di Jean Manuel Serrat, tradotta fedelmente da Paolo Limiti. Per Mia Martini è un momento d’oro: vince la Gondola d’oro di Venezia per le vendite di “Donna sola”, poi il referendum di Sorrisi e canzoni la incorona miglior cantante donna dell’anno, a Palma di Majorca vince il Premio della critica europea. Proprio in Spagna Mia inizia una stretta collaborazione con Charles Aznavour che dura tre anni e che culmina nel 1977 in un tour trionfale. Nel frattempo, ha sfornato singoli di enorme successo come “Minuetto” (1973, scritto da Franco Califano) con il quale vince ancora il Festivalbar e rimane molto a lungo ai vertici delle classifiche. Pubblica altri due album: “Sensi e controsensi” e “Un altro giorno con me”. Le sue canzoni trattano dell’emancipazione femminile, cantano l’amore ma rifuggono dalla banalità: come non ricordare “Che vuoi che sia…” oppure “Inno” e ancora “Io donna io persona”? Ma l’immagine di Mia comincia ancora a cambiare: si fa adulta, diventa più morbida. Esce nel 1976 l’album “Per amarti”, in cui Mia è accompagnata da musicisti del calibro di Tullio De Piscopo, Ivano Fossati e Ruggero Cini. La cambia forse l’incontro con Fossati, che la rende più intimista, le cuce addosso canzoni meravigliose, che le donano uno spessore finora appena accennato. Dopo essere stata, nel 1977, la vedette del Festival di Tokio, nel 1982 partecipa per la prima volta a Sanremo con una canzone di Fossati, “E non finisce mica il cielo” aggiudicandosi il premio come miglior interprete. La collaborazione con Fossati produce poi il suo album migliore, “Danza”, in cui scopre nuove sonorità e un impegno artistico che la concacra definitivamente interprete di gran classe. Fossati ne fa la sua Musa, ma l’album, più difficile dei precedenti, non ha il successo che merita. E dopo “Danza” comincia per Mia Martini il periodo più nero della sua carriera. Un grave incidente automobilistico è forse il pretesto per una campagna diffamatoria subdola contro di lei: nell’ambiente dello spettacolo pare circoli la voce che viaggiare e lavorare con lei porta sfortuna. Mia Martini viene emarginata. Scompare dalle scene: un esilio imposto e crudele. Il suo connubio artistico e sentimentale con Fossati naufraga. Gli amici la abbandonano. Tornerà a Sanremo nel 1986 con l’indimenticabile “Almeno tu nell’universo”, brano scritto ancora da Bruno Lauzi, poi nel 1990 con “La nevicata del ’56” e nel 1992 arriva seconda alle spalle di Luca Barbarossa con “Gli uomini non cambiano”. Sembra la rinascita: Mia Martini assapora di nuovo il successo. La sua voce è cambiata, si è fatta roca e graffiante, ma è sempre fra le migliori della scena musicale italiana. Pubblica raccolte di successi, nuovi album come “Mimì”, e soprattutto il suo ultimo lavoro, il più bello: “La musica che mi gira intorno”, dove interpreta i migliori brani dei cantautori italiani in modo impareggiabile, da De Andrè a Bennato a Fossati a Zucchero, fino alla splendida canzone che De Gregori scrisse per lei: “Mimì sarà”. Ma Mimì non ha più futuro. Muore a Milano nel maggio 1995, lasciando l’ultimo suo capolavoro a suggellare un’indimenticabile carriera.

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