E se Violetta fosse Violetto? E se tutto lo scandalo temuto da Germont non fosse l’unione tra il figlio e una ragazzetta un po’ sgarzola, bensì una "liason dangereuse" fra due ragazzi del bel mondo parigino?
L’arte di Verdi, che è tutta sovvertimento, deformazione, caricatura sublime, mette a fuoco i quattro canti della terra. Questo diceva Renato Barilli, nei primi anni venti, nel suo delizioso libretto "Il paese del melodramma", reperibile tutt’oggi nelle edizioni Adelphi.
E questo doveva pensare Maria Callas, quando suggerì a Visconti, ai tempi dell’allestimento della oramai notoria "Traviata" scaligera del 1955, che la storia d’amore fra Violetta e Alfredo si poteva anche rileggere, con qualche azzardo, come una relazione omosessuale fra due maschi. Un gossip, questo, notissimo fra i melomani, ma che non ha mai goduto della patina aurea dell’ufficialità.
A differenza di Donizetti e Bellini, Verdi non ha mai eletto l’amore come musa esclusiva della sua opera. Tuttavia la Traviata, che è il suo più intenso canto dedicato all’amore, è soprattutto un’accusa appassionata contro le convenzioni sociali. Accusa talmente veemente che, per anni, si è parlato di volgarità, eccessiva "popolarità", addirittura sgangheratezza stilistica dell’autore.
La Callas, che seppe cantare la grande musica immortale nel modo in cui i grandi musicisti sognarono qualche volta di sentirla, proprio nel momento del suo sodalizio artistico con Visconti, per il quale nutriva anche un morbosa amicizia, volle, in realtà, puntualizzare alcune incongruenze, nella riduzione della "Signora delle Camelie" di Dumas da parte del librettista Francesco Maria Piave. Librettista che lavorò sempre a stretto contatto con Verdi.
La Violetta della "Traviata", infatti, non ha le caratteristiche della Signora di Dumas figlio. Non è, così palesemente, una prostituta di alto bordo. E’ semplicemente una dama, molto ammirata, omaggiata e corteggiata, anche con successo, dai notabili della Parigi fin de siecle. E’ una creatura libera di volar di gioia in gioia, non è una Nanà con un passato da postribolo.
Un personaggio di sicuro "scomodo", ma non così pericoloso da mettere in pericolo il matrimonio della sorella di Alfredo con il nobile fidanzato. Possibile sarebbe che Violetta fosse un ragazzo, e allora sì che il mondo aristocratico – altoborghese avrebbe posto un marchio d’infamia su un’unione allora inaccettabile.
Allora, ma probabilmente anche tuttora. Si pensi ad un capitano d’industria dei nostri tempi a cui il figlio dichiari il proprio amore per un famoso calciatore od un conduttore televisivo di grido. Più che di qualche battutaccia reazionaria al circolo del golf, il magnate dovrà preoccuparsi del ritorno di immagine di tale situazione, delle implicazioni politiche che potrà portare, delle posizioni ufficiali da sostenere. Un bel problema. Meglio correre da Violetto per scongiurarlo di lasciar perdere, tanto lui di gonzi a suoi piedi ne può avere finchè vuole. Si ritiri in buon ordine e non pretenda di vivere con quel bravo ragazzo di Alfredo e, soprattutto, non crei problemi alla sua onorata famiglia.
Un interpretazione totalmente fuori di testa? Può darsi, ma se la maternità è tanto illustre, una nota di attenzione va pur concessa.
Del resto le interpretazioni in chiave "queer" o estreme dei classici dell’opera non sono mai banali. Si ricorda ancora una messa in scena a New York del Don Giovanni mozartiano con Giovanni e Leporello ragazzacci – amanti nel ghetto nero, in giro a spezzar cuori per pura misoginia, mentre donna Elvira, sotto gli effetti di una pera d’eroina intona l’aria "Mi tradì quell’alma ingrata".
di Paola Faggioli
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