“Vi racconto come la mia insegnante ci ha detto che i gay si curano”

Il racconto del ragazzo che ha discusso con la sua docente su gay e terapie riparative.

"Vi racconto come la mia insegnante ci ha detto che i gay si curano" - scuola trento 1 - Gay.it
4 min. di lettura

Il ragazzo protagonista della vicenda della scuola di Moncalieri ha contattato Gay.it per raccontare in prima persona, la sua versione di quanto accaduto ieri nella sua classe. Per rispetto della sua privacy, non useremo il nome. Ecco cosa ci ha detto:

Cos’è successo ieri nella tua classe?
Ieri mattina, durante la seconda ora di lezione a scuola, ho assistito a uno di quegli eventi che si leggono sui giornali di professori omofobi in classe, con qualche leggera differenza.

Ovvero?
Durante l’ora di religione, un mio compagno di classe ha alzato la mano per chiedere all’insegnante cosa ne pensasse “dei finocchi” e se secondo lei si possono reputare “persone normali”. Al che, la professoressa ha subito fatto una battuta sul fatto che i finocchi fossero verdure e che, se ci si era invece rivolti alle persone omosessuali, non si possono considerare normali poiché la natura non prevede l’omosessualità e quindi non è considerabile normale, aggiungendo anche che non ha mai visto animali gay.

Cos’ha detto di preciso?
Ha detto: “L’omosessualità è stato dimostrato scientificamente che è dovuta a un problema psicologico curabile”. Questa frase che ha alimentato in me la volontà di far sapere quanta ignoranza regnasse ancora non solo fra i più giovani, ma anche fra i professori. Per questo ho voluto che la discussione continuasse ed è andata avanti per oltre mezz’ora. Non è stata comunque una “lezione sull’omosessualità”, come riportano diversi giornali, in quanto solo io e pochi altri stavano assistendo alla conversazione, mentre gli altri erano impegnati in altro.

Come è proseguita la discussione?
Molto è stato detto riguardo il rispetto delle idee, da parte sua, mentre la mia unica risposta era: “non voglio farle cambiare idea, voglio farle capire che cosa sta portando avanti, ed è una ideologia fatta di odio”. Infatti, la discussione è proseguita molto sulla stabilità della sua idea e sul fatto che non si potesse cambiare.

Hai raccontato l’accaduto su Facebook per denunciare i fatti?
Io non sono una persona che ama mettere in ridicolo o esporre gli altri. Il mio obiettivo con il post su Facebook non era avviare una campagna mediatica contro la professoressa, ma segnalare l’avvenimento a chi di competenza per decidere cosa fare. Episodi simili erano già successi a scuola, ma non avevano avuto seguito. Ho preferito quindi che questa situazione, più grave dell’altra volta, la segnalasse direttamente il Presidente di Arcigay Torino.

Cosa ti ha detto il presidente di Arcigay Torino?
Il Presidente, che considero una meravigliosa persona e un amico, mi ha aiutato tantissimo nella comunicazione ai giornali, che altrimenti avrebbero potuto scrivere di tutto data la delicatezza della questione. Non per paura, non ho alcuna paura a espormi o altro, ma per attesa di una risposta. Purtroppo i giornali hanno delle regole e il mio post è subito finito all’attenzione dei giornalisti. Ma Arcigay Torino ha sempre mantenuto la mia riservatezza e mi ha aiutato a perseguire la mia linea ovvero di aspettare che il Preside desse una risposta.
Quando questo non è stato più possibile, Marco Giusta (il presidente di Arcigay Torino, ndr) ha dato delle testimonianze che reputo veritiere e consone ai maggiori giornali.

Cosa ti ha urtato di più delle parole della tua professoressa?
Il post che ho scritto su Facebook evidenziava diverse frasi che la professoressa ha detto e che ritengo non possano essere dette in un determinato ambiente, come “l’OMS decide cosa vuole” o “l’omosessualità è curabile”. Oppure argomentazioni fortemente contro la scienza, come “non ho mai visto animali gay”. Io ho anche detto che i ruoli madre e padre rispondono agli stereotipi di come uomo e donna dovrebbero comportarsi, e la risposta è stata solo “Ora non inventiamoci niente. La famiglia è uomo e donna”.

Pubblicato il post, la notizia si è sparsa velocemente.
Sono stato contattato nel pomeriggio dalla redazione locale di un quotidiano nazionale per raccontare a voce quello che era successo, ma alla fine il tutto si è svolto per iscritto perché ero restio a raccontare tutto prima che si esponesse il Dirigente scolastico a riguardo. Sono stato comunque avvisato che l’articolo sarebbe stato pubblicato e capisco l’esigenza giornalistica “dell’avere la prima”, ma ritengo comunque che al di là di tutto si sarebbe dovuta rispettare un po’ di più l’attesa di una risposta concreta da parte delle persone competenti.

Cosa succederà adesso?
Il Preside lunedì credo convocherà i rappresentanti di classe, seppur io abbia già inviato una comunicazione al vicepreside spiegando la situazione e chiedendo se tra le persone convocate possiamo esserci io e due testimoni che hanno partecipato alla vicenda. Speriamo accetti.

Hai detto che avresti voluto che si aspettasse la conclusione della vicenda prima che diventasse nota: non pensi che sia giusto che si parli di questi fatti sui giornali?
Credo che questi episodi siano da segnalare, così come ho fatto, ma anche che sia meglio aspettare l’esito prima di raccontare tutto ai media. Trovo giusto segnalarli ai giornali, così come ho fatto io stesso taggando nel post dei giornalisti, ma ritengo che l’attesa in questo caso sarebbe stata più proficua dato che, in mancanza di nozioni che non mi sono state chieste, alcuni articoli hanno riportato termini o frasi poco precisi.

Qualcuno sostiene che le cose che ha detto la tua professoressa rientrino nella libertà d’espressione. Sei d’accordo?
La libertà di opinione non coincide con la libertà di diffondere disinformazione, specialmente se si ha il ruolo istituzionale di professoressa. Se ne avessimo chiacchierato fuori, io come simpatizzante di Arcigay Torino e lei come persona che passa per strada, la cosa sarebbe finita in “omofobia ancora presente in città”, ma il fatto che sia avvenuto in classe rende tutto molto più grave.

Hai chiesto di rimanere anonimo e naturalmente Gay.it rispetta questa tua volontà. Vuoi, però, spiegarci le ragioni?
Diverse persone mi hanno dato dell’esibizionista dopo tutto l’accaduto e non voglio alimentare questa convinzione sbagliata. Non sono in cerca di notorietà, volevo solo dare il mio punto di vista su quello che è successo e ringrazio Gay.it per avermi dato questa possibilità.

di Caterina Coppola

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