Intervista a Eduardo Savarese, magistrato e scrittore omosessuale

Ci parlerà dell'ultimo libro, 'Lettera di un Omosessuale alla Chiesa di Roma', e non solo

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Eduardo Savarese, classe, 1979. è un magistrato e studioso di diritto internazionale e vive a Napoli. Savarese ha pubblicato il racconto “Cicatrici” nella raccolta ‘La Città Difficile‘ (Ippogrifo 2006), “Ostie Consacrate” nella raccolta ‘Fughe e altri racconti‘ (Giulio Perrone 2009), e “Il Rumore Dei Tacchi” nella raccolta ‘Un tappo nelle nuvole‘ e altri racconti (amp 2007), con il quale è stato finalista al premio Arturo Loria 2007. Eduardo Savarese tiene corsi di scrittura creativa per diversamente abili presso l’associazione Onlus “A Ruota Libera. Frutto della passione per l’opera e della ricerca identitaria è il saggio dedicato al travestitismo nell’opera lirica contenuto nella raccolta ‘In scena en travesti’ Viaggio nel mondo del travestitismo nell’arte (Croce 2009). Nel 2010 è stato finalista al premio Italo Calvino, segnalato dalla giuria con il romanzo ‘L’Amore Assente’, dalla cui rielaborazione è natoNon passare per il sangue‘ (Edizioni E/O 2012). Per le edizioni e/o nel 2014 ha pubblicato anche ‘Le inutili vergogne‘. Collabora con Il Foglio e Il Corriere del Mezzogiorno.
A settembre 2015 è uscito il suo nuovo libro Lettera di un Omosessuale alla Chiesa di Roma,per Edizioni e/o: noi di Gay.it lo abbiamo intervistato.

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Bentrovato Eduardo, perchè ad un certo punto durante la tua carriera letteraria, è scaturita in te l’esigenza di scrivere una lettera alla chiesa di Roma?

La mia carriera letteraria, fino ad un anno fa, era fatta da due romanzi che riguardano fondamentalmente le relazioni omosessuali, soprattutto il primo, Non passare per il sangue, nel quale affronto la questione della fecondità e infecondità dell’amore omosessuale; nel secondo, Le Inutili Vergogne, ho sposato una visione un po’ più ampia della relazione esistente tra amore, sesso e dimensione religiosa, anche, ma non solo, nell’amore omosessuale. Lettera di Un Omosessuale Alla Chiesa di Roma non è un romanzo, è piuttosto un ibrido tra saggio e narrativa, esigenza letteraria nata in me dopo il referendum irlandese del maggio dell’anno corso sui matrimoni omosessuali: l’apprendere dell’esito favorevole del referendum mi fece consapevole del fatto che mi ero abituato all’idea che non ci fosse in Italia una legislazione di riferimento. Da omosessuale e giurista, diciamo pure che mi ero assuefatto a questa assenza, e la cosa mi ha fatto paura, sicché ho preso carta e penna ed ho immaginato di scrivere una lettera da rivolgere alla chiesa di Roma in merito alla posizione che essa ha, non tanto verso il matrimonio omosessuale, ma piuttosto verso la natura omosessuale in quanto tale. Mi sembrava importante poiché sono credente ed anche perché l’Italia è un paese in cui la dimensione laica e quella religiosa sono (fin troppo) collegate, con l’obiettivo di riuscire a smontare, anche da credente, l’assurda percezione negativa della natura omosessuale tramandata da secoli nella cristianità.

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Eduardo, perchè si dovrebbe scegliere tra l’amore e la chiesa?

Io penso proprio che non si debba scegliere tra l’amore e la religione, e ti dirò che ho registrato, a tal proposito, in molti circoli di militanti, allontanamenti di omosessuali, sia uomini che donne, dalla chiesa. Ho riscontrato tanto disagio, ma anche molta nostalgia, perchè quando si è costretti, in qualche modo, a questa scelta ci si priva non solo della struttura ingombrante che è la chiesa come istituzione, ma anche dello spirito di ricerca verso quel mistero rappresentato dalla esistenza di Dio: come se, per accettare se stessi, bisognasse essere costretti necessariamente a respingere la religione cattolica così come ci è stata tramandata. Sono convinto, invece, che si debba pervenire ad un’armonizzazione delle parti di noi, nei limiti del possibile, poichè la dimensione dell’amore, e del sesso stesso, si vive meglio se si dispone di una visione più ampia della cose. Perchè allora privarsi di un aspetto piuttosto che dell’altro?

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Lettera di un Omosessuale alla Chiesa di Roma rappresenta uno sfogo, una denuncia o, al contrario, un atto d’amore che compi verso te stesso?

Uno sfogo direi di no, perchè escludo che i miei romanzi siano dei pretesti per sfogarsi; rappresenta una denuncia in parte, verso una istituzione che spesso condanna l’omosessualità pur avendola al suo interno, mentre, ancora, è indubbiamente un atto d’amore, non solo verso me stesso ma anche verso gli altri omosessuali, soprattutto verso quelli anagraficamente molto giovani: a testimonianza di questo, ti dico, infatti, che il libro è uscito nel settembre 2015 e che, nonostante ciò, molti continuano a scrivermi esprimendomi gratitudine, perchè nel libro trovano la forza a loro necessaria. La mia fortuna è indubbiamente che ho la penna per scrivere.

Un’arma potentissima, direi…

Certo, soprattutto se pensiamo che molti non hanno nessun arma, non hanno affatto voce, per cui ribadisco che questo libro è atto d’amore verso me stesso e verso gli altri ed anche un atto d’amore verso la chiesa ed a come io penso che dovrebbe essere realmente…

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Uomo dalla fede radicata, da sempre impegnato nel sociale: qual è la tua posizione riguardo alle unioni civili, credi davvero che siano, in qualche modo, risolutive?

Sicuramente l’approvazione di questa legge rappresenta un primo step, che potrebbe essere il primo e l’ultimo, ma che è comunque uno step fondamentale. Il ddl Cirinnà non chiama matrimonio ma unione civile la relazione affettiva e familiare tra persone dello stesso sesso, come se fosse, di fatto, qualcosa di diverso, ma in realtà la disciplina dell’unione civile richiama tutti gli aspetti giuridici del matrimonio stesso, e per questa ragione si accusa la legge di ipocrisia, in quanto perviene ad un compromesso, e a volte i compromessi non ci piacciono. Io credo che questa legge apra, di fatto, una porta, poichè affronta in maniera serena la questione omogenitoriale.

Esiste, a tuo parere, un futuro per la famigllia omogenitoriale, anche in termini educazionali? Non c’è il rischio, secondo te, che venendo meno una delle due figure genitoriali si verifichi una compromissione nel processo educazionale dei bambini?

Non si può negare un futuro quando esiste già un presente: sappiamo infatti che esistono famiglie con due padri o con due madri, bambini che ormai stanno crescendo, ma se solo osserviamo tutto con grande serenità e tranquillità, potremo effettivamente valutare se è necessaria una figura maschile e femminile, e comprendere che la presenza di figure maschili o femminili possa realizzarsi anche attraverso forme diverse dalla presenza genitoriale: pensiamo ai nonni o relazioni di amicizia importanti per la coppia. Naturalmente, non ho alcuna certezza su questo, ma sicuramente ho una certezza : la lucidità serena ed amorevole con cui guardare ai fatti.

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Quanto vogliamo ignorare del mondo che cambia e soprattutto di cosa abbiamo paura, secondo te?

Un fatto indubbio è che l’uomo ha paura di quella libertà che Dio stesso gli ha dato, una libertà che di per sè rappresenta una miccia esplosiva, e che può essere fonte di comportamenti autodistruttivi, con fini orribili, o, al contrario, può essere una paura buona che ci preserva e che ci salva. La famiglia, ad esempio, rappresenta sicuramente una buona struttura sociale, ma non è sacra e intoccabile come ci è stato finora insegnato. Credo, al contrario, che questo tipo di visione attribuisca alla famiglia una funzione tutto sommato asfissiante. Tutti i rapporti familiari sono importanti, ma è necessario adottare un sano relativismo nell’inquadrarli. Lo stesso rapporto madre/figlio, per quanto sia bello, non esaurisce, in realtà, tutte le possibilità bellissime che la vita ci offre. InLettera di un Omosessuale Alla Chiesa di Roma, sono particolarmente contento del capitolo finale dove rifletto sul coraggio di modificare certi aspetti della tradizione, quando è giusto e si creano le condizioni per modificarli.

Carissimo Eduardo, siamo alla conclusione della nostra intervista: lascia un messaggio ai lettori di Gay.it?

Il messaggio è di non avere paura di essere noi stessi. Lo dico da laico. E da credente, perché Dio ci vuole felici e noi siamo felici solo se siamo noi stessi.

Ilaria Grasso

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Renzo Loi 23.2.16 - 18:13

la chiesa non ha mai rifiutato nessuno.ci accetta in quanto peccatori . ha i suoi dogmi . e la felicita' non vuol dire libertinaggio di fare cio' che si vuole.

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