“L’arte di perdere non è difficile da imparare – così tante cose sembrano pervase dall’intenzione di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro – Perdi qualcosa ogni giorno – Accetta il turbamento delle chiavi perdute, dell’ora sprecata”. Così recita l’incipit di ‘One Art’ (‘Un’arte’), nota anche come L’arte di perdere, la più celebre poesia della statunitense Elizabeth Bishop (1911-1979), cantrice sofisticata di amori e paesaggi, considerata da Josif Brodskij “la Callas della poesia del Novecento”, vincitrice del Pulitzer nel 1956 per la raccolta ‘North & South’. Fino agli anni ’80 fu considerata una voce d’élite eccentrica, “uno scrittore per scrittori” come la definì John Ashbery, poi la pubblicazione dei suoi ‘Complete Poems’ nel ’83 le aprirono la strada a un pubblico più vasto e ora non c’è università americana che non preveda la lettura della sua opera nei corsi di poesia e letteratura.
Ne ricostruisce un decennio di vita l’interessante ma un po’ oleografico biodrama “Reaching for the Moon” del brasiliano Bruno Barreto che ha inaugurato giovedì scorso a Nizza la settima edizione del Ze Festival, piccola ma curata cinerassegna itinerante in Costa Azzurra. Nel 1951, in crisi d’ispirazione, la Bishop (un’impeccabile Miranda Otto) si reca a Rio de Janeiro nella lussureggiante tenuta dove vive l’ex compagnia di college Mary (Tracy Middendorff) insieme alla sua compagna architetto, la volitiva Lota de Macedo Soares (Gloria Pires, assai efficace). Nonostante un’iniziale insofferenza reciproca – troppo raffinata e fredda la Bishop, altrettanto vulcanica e impetuosa Lota – le due donne s’innamoreranno perdutamente e saranno costrette a gestire un complesso ménage à trois con Mary a cui Lota addirittura acquisterà il bambino che tanto desiderava mentre per Elizabeth progetta uno studio tutto per lei sventrando una collinetta della sua proprietà. Ma Lota non accetta la dipendenza di Elizabeth dall’alcol e il suo distacco quando la poetessa decide di trasferirsi per insegnare un anno alla New York University.
Tratto dal romanzo di Carmen L. Oliveira ‘Flores raras e banalissimas’, indugia un po’ troppo nella vita idilliaca delle tre donne evitando ogni approfondimento psicologico (in particolare riguardo al rapporto troppo semplificato con Mary che resta in disparte) e innescando così il motore narrativo del conflitto drammatico nella parte finale che è la più riuscita. Le ottime protagoniste restituiscono con forza espressiva due caratteri seducenti e complementari, la cui omosessualità è descritta con naturalezza e pudore (ma l’agiatezza dell’architetto che progettò il Flamingo Park di Rio – sono magnifiche le scenografie moderniste della tenuta, abbellite da giardini esotici in continua ridefinizione – consente loro di vivere in una sorta di isola felice, protette dal mondo esterno: all’epoca il lesbismo, anche in Sudamerica, era sinonimo di trasgressione sociale).
Troppo sacrificata è invece la figura del mentore della Bishop, il grande poeta Robert Lowell che appare su una panchina all’inizio del film. Elegante, ben girato anche se non scava a fondo né nelle contraddizioni compromissorie del triangolo amoroso né nei tormenti creativi della Bishop la cui poesia rimane un personaggio secondario, “Reaching for the Moon” meriterebbe di essere distribuito nelle sale tradizionali per far conoscere una grande poetessa da noi praticamente ignota.
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