Federica Angeli: “Vi spiego perché non perdo la speranza”

Il libro, il futuro film, le fiction alla 'Suburra', ma anche la paura, il coraggio, la scorta e l'atteggiamento (sbagliato) di Virginia Raggi.

Federica Angeli: "Vi spiego perché non perdo la speranza" - 1200px 20180411 IJF Perugia Federica Angeli 01 - Gay.it
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Siamo a Ostia, nel 2013, e tra gli abitanti di quei palazzi c’è anche Federica Angeli, cronista di nera per le pagine romane di «La Repubblica», che in quella periferia è nata e cresciuta. Da tempo si occupa dei clan locali e ha subìto gravi minacce. Sa quindi come è fatta la paura, ma crede che l’altra faccia della paura sia il coraggio. Se i vicini rientrano obbedienti al comando del boss, lei decide di denunciare ciò che ha visto. Dal giorno dopo la sua vita è stravolta. Federica diventa una nemica da far fuori, mentre per tutti gli altri un punto di riferimento nonché una paladina della giustizia. Da lì l’idea di raccontare tutto su un libro ‘A mano disarmata. Cronaca di millesettecento giorni sotto scorta’ (Baldini+Castoldi, pagg. 384, € 17) da cui, prossimamente, ne verrà fuori anche un film.

Cronaca di millesettecento giorni sotto scorta. Partiamo, però, da poco prima: chi era Federica Angeli prima di diventare il simbolo per eccellenza del coraggio e della libertà?

Quella che sono adesso. Ho sempre seguito in ogni mia scelta la strada della legalità e dei valori che mi avevano trasmesso e a cui ero stata educata. Forse ero molto più timida di adesso, ma le idee chiare su chi, e cosa, volessi essere nella vita le avevo già dall’adolescenza.

Gli abitanti del suo quartiere, oggi, le sono riconoscenti?

Ci sono molte persone che attraversano la strada per venirmi a stringere la mano o ad abbracciare, e questo mi riempie di orgoglio. Credo che nella vita basti davvero poco per ridonare alle persone la voglia di fare. Ecco, dopo tutto quello che è successo, è tornata loro la voglia di lottare e di rialzare la testa. Questa per me è una delle più grandi soddisfazioni.

Perché ha deciso di continuare a vivere ad Ostia? Non avrebbe potuto continuare la sua battaglia spostandosi altrove?

Avrei potuto, già. Ma ritengo che quando si comincia una lotta si deve combattere fino alla fine sul campo. I clan scrivevano sui social e facevano arrivare alle mie orecchie, oltre a minacce e intimidazioni, il solito refrain: “Ti cacceremo da Ostia” o “Ti toglieremo il sorriso”. Da Ostia il 25 gennaio 2018 se ne sono andati loro, direttamente al 41bis. Ora posso anche pensare di andarmene. Ora, però, non prima.

Trentadue componenti del clan Spada, di cui dieci a lei ‘molto cari’, sono stati arrestati per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ora, però, è tutto in mano alla giustizia. E se le cose non dovessero andare per il verso giusto?

Se per “non andare per il verso giusto” intende una sentenza di assoluzione posso dirle che se ciò dovesse avvenire io lascerei Ostia. Sarebbe il segnale che lo Stato ha scelto di far vincere loro. Dunque continuare a far crescere i miei figli lì davvero non avrebbe alcun senso. Ma non la considererei una mia resa. No: sarebbe la sconfitta dello Stato.

15 maggio 2018: sentenza rimandata. Come fa a non perdere le speranze?

Come scrivo nel mio libro e come cerco di trasmettere ai miei lettori nella vita ci sono battaglie che si vincono e battaglie che si perdono. La non sentenza del 15 maggio possiamo considerarla un pareggio: da un lato un giudice ha ritenuto che quanto da me subìto nel 2013 è stato molto più grave di una semplice minaccia, mentre dall’altro il tempo non gioca a mio favore perché nel novembre 2020 andrà in prescrizione il reato. Sa cosa è accaduto quando i miei amici virtuali hanno letto la notizia? Hanno scritto a Pignatone per chiedergli di fare il possibile per non farlo cadere in prescrizione. Come faccio a perdere la speranza di fronte a un fiume di persone che si mobilita per me e che lotta e non si rassegna?

Federica angeli a mano disarmata

Il suo libro sta ottenendo consensi a dir poco sorprendenti. Se lo sarebbe mai immaginato?

Diciamo che questo è il mio quinto libro ma, devo essere sincera, è quello in cui ho messo dentro tanto di me. Sta andando bene e ne sono davvero orgogliosa. Considerato che gli italiani leggono poco, lo considero un gran successo.

Quanto pensa stiano facendo ‘bene’ film e fiction alla Suburra al nostro Paese?

Non molto. Non amo tutta questa esaltazione del male. Nella vita esiste chi li contrasta, nelle fiction ci si appassiona o di un cattivo o dell’altro. Non credo sia educativo per chi non sa guardare con intelligenza e competenza quelle sequenze.

Ora la sua attenzione è rivolta al clan dei Casamonica, cugini degli Spada. Quella ‘paura’ che non le è mai mancata in tutto questo periodo, non teme possa tornare a farle visita?

Ormai la paura fa parte del gioco. Chi sfida a viso aperto i clan di ogni etnia e regione geografica, sa perfettamente che sono persone che non dimenticano. Ma nel mio lavoro questo sono chiamata a fare. E quando la paura busserà, le aprirò la porta e la farò accomodare.

Ma per lei cos’è la paura?

È una delle due facce di una medaglia: da una parte c’è la paura, dall’altra il coraggio.

Nel giorno di Pasqua, nell’ormai famoso Roxybar del quartiere Romanina, solo una persona disabile si è ribellata. Come giudica l’indifferenza delle altre persone presente nel locale?

Non riesco a puntare il dito contro chi non ha reagito. Non è indifferenza, è paura. E fin quando lo Stato permetterà alle persone di sentirsi sole e indifese non riuscirò a non provare un senso di tenerezza verso chi si volta dall’altra parte.

Per sua stessa ammissione, il Partito Democratico, poco prima di candidare Giachetti contro Virginia Raggi, pensò a lei. Ad oggi, se tornasse indietro, e se le venisse rifatta la stessa proposta, accetterebbe?

No. Al momento la politica non mi interessa. Né col Pd, né con altri schieramenti politici.

Tra lei e il Sindaco di Roma Virginia Raggi, si sa, non scorre buon sangue: la Raggi le dà della giornalista pubblicizzata, mentre lei del Sindaco fantasma. Che fine ha fatto la solidarietà tra donne?

Non è questione di solidarietà tra donne. È questione di buon senso, di onestà e di correttezza. Io, per mestiere, posso dire che la Raggi sta facendo poco per Roma. Lei, da politica, non può schierarsi così apertamente contro una cronista e mamma che lotta contro la mafia. Io al suo posto non mi sarei mai comportata così. Mai l’avrei lasciata sola e additata come appartenente a un partito politico solo perché non manco di sottolineare ciò che la sua amministrazione non fa.

E secondo lei, perché i 5 Stelle, ad oggi, continuano a collezionare ottimi risultati?

Perché hanno saputo parlare alla pancia delle persone. E, troppo spesso, gli italiani si accontentano di gridare un vaffanculo per sentirsi in pace con la coscienza e pensare di aver dato il proprio contributo al Paese. Ecco, i 5Stelle istigando la loro rabbia li fa sentire appagati. Poi se ci sono topi, buche e immondizia chi se ne importa. L’importante è aver urlato tutti insieme che lo Stato fa schifo e le lobby pure.

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