La registrazione all’anagrafe di figli di genitori dello stesso sesso voluta da Chiara Appendino, sindaca di Torino, ha raccolto plausi unanimi dalla comunità LGBT (e non solo), ma anche le ovvie e puntuali critiche.
Una delle più aspre è arrivata dalla diocesi di Torino, che ha duramente attaccato la sindaca 5 Stelle attraverso un editoriale comparso nel settimanale La voce e il tempo.
«Si può pensare che una legge dello Stato venga applicata a libera discrezione degli 8mila Comuni d’Italia, ciascuno secondo il proprio orientamento? No, lascia davvero sconcertati lo strappo operato lunedì scorso dall’Amministrazione torinese rispetto alle leggi che regolano l’Anagrafe e lo Stato Civile: il sindaco Appendino ha deciso di «forzare la mano» – parole sue – e registrare un neonato come «figlio» di due mamme. Le norme anagrafiche non consentono questo tipo di registrazione». «A cosa servono le decisioni del Parlamento, se le altre Istituzioni dello Stato poi non le riconoscono? La fuga in avanti del Comune di Torino lascia sconcertati perché rifiuta le basi della vita democratica, autorizzando il pensiero che le leggi siano valide solo per i cittadini che le hanno approvate». «Lo scriviamo con totale rispetto verso la sensibilità delle persone coinvolte in queste vicende, crediamo che la richiesta di maternità o paternità da parte delle coppie omosessuali apra questioni troppo delicate per essere affrontata «forzando la mano» alla legge. Le procedure della democrazia consentono di esprimere pareri difformi, lo consentiranno ancora, e restano a nostro avviso l’unico modo per mettere a confronto le opinioni, andando a fondo nei problemi».
Parole che pesano, quelle firmate dal direttore Alberto Riccadonna, in arrivo dopo la registrazione all’anagrafe di Niccolò Pietro, figlio di Chiara Foglietta, consigliera comunale del Pd, e Micaela Ghisleni. Un atto di nascita firmato direttamente dal sindaco, senza attendere sentenze dai tribunali, che ha fatto la Storia, in quanto primo in Italia.
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