Coppia: quando l’età fa la differenza

Stare insieme a una persona molto più giovane (o più matura) lascia talvolta perplessi. I problemi che possono sorgere non sono pochi. Ma l'età è davvero il fattore più importante?

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3 min. di lettura

Ricordo che quando avevo vent’anni per me già un ragazzo di 25 sembrava troppo grande. La mia predilezione andava generalmente ai coetanei. I diciottenni-ventenni mi sono sempre piaciuti. Crescendo, ho continuato ad apprezzarli ma ho decisamente ampliato la forbice, quel campo che in genere usiamo per rispondere alla domanda: "Che tipi cerchi?" 

Non che uno non possa sforare: le eccezioni sono quanto di meglio esiste. Tra tutte, ricordo con piacere una giornata in cui mi capitarono ben due incontri, il primo con un diciottenne, il secondo con un quarantaseienne. Io ne avevo 34 e considerai la cosa con gran piacere. 

Certo, non so quanto mi potrei spingere oltre per puro piacere: per ora gli ultracinquantenni non rispondono alle mie attrattive e per fortuna i minorenni hanno da tempo cominciato a sembrarmi acerbi. Con ciò non intendo negare le attrattive che possono suscitare i primi (e, temo, anche i secondi).

In genere però rientro in una categoria abbastanza diffusa (ciò non è per me motivo di orgoglio né di vergogna): mi piacciono gli uomini giovani, generalmente carini, non particolarmente pelosi o muscolosi, possibilmente maschili (ma apprezzo anche la componente femminile di un ragazzo) e non troppo in carne.

Uno dei risultati di queste inclinazioni tutto sommato banali è che non mi sono mai mancate le possibilità. Vivendo in una grande città ed essendo di aspetto, se non bello, comunque nemmeno brutto, avendo inoltre vinto da tempo la timidezza, lasciato il nido paterno, messo in funzione un certo radar e soprattutto conosciuto quanto basta l’ambiente, ho potuto avere numerosi incontri negli ultimi quindici anni. Di tutti questi, come è giusto che sia, una parte si è trasformata in altrettante relazioni. 

Brevi o lunghe che fossero, e indipendentemente dalle affinità caratteriali e sessuali, uno dei principali denominatori comuni è stato il progressivo ampliamento della differenza d’età. In soldoni, se a vent’anni stavo con un ventenne, a trenta pure e, ora che la quarantina non è più un orizzonte lontano, la mia situazione non è mutata di molto. Quattordici sono infatti gli anni che mi separano dal mio attuale fidanzato. 

Non ho inteso con queste considerazioni esibire una mia ossessione. L’idea di scriverne mi è venuta leggendo della storia di Franco Grillini con un ragazzo di trentatrè anni più giovane. Istintivamente mi sono chiesto cosa potesse legarli. Troppo facile limitarsi a un discorso sessuale (ad uno piacciono i giovani, all’altro i maturi) o psicologico (la voglia di sentirsi giovane che incontra il desiderio della protezione di un compagno-guida).

Tante coppie ugualmente assortite ho potuto conoscere di persona: venti, trenta, perfino quaranta e più gli anni che dividevano i due componenti. Si può dire che sia sbagliato? Si può chiedere al più vecchio che cosa abbia da dirsi con l’altro, come faccia a sopportarne il lato infantile, la sfrenata vitalità o comunque le inevitabili differenze?  Ho potuto inoltre notare che, col tempo, molti miei coetanei hanno invertito la rotta e, se prima cercavano l’uomo più grande, adesso tendono a guardare in prevalenza i più giovani. Effetto forse di quell’incertezza che tende ad assalire i gay (ma non solo) "quando tra i capelli un po’ d’argento li colora". 

Personalmente, per quanto i dieci, dodici e quattordici anni che mi dividevano dai miei ultimi tre compagni di vita non siano troppi a confronto (ma nemmeno pochi), ho sempre avuto una risposta: io non li ho cercati, li ho trovati. Non volevo a tutti i costi un ragazzino, uno dall’aspetto fresco, uno con cui fare l’amore fosse sempre una novità o roba del genere. Non era quello che mi interessava. 

Superati i trenta, anzi, avevo continuato a interessarmi ai miei coetanei con intenzioni sempre più serie: una sorta di caccia al marito. Pensavo che tra due uomini ancora giovani ma non più giovanissimi l’intesa fosse al meglio: si poteva condividere l’esperienza acquisita senza rinuniare alla voglia di divertirsi. Luoghi comuni, lo ammetto. Tant’è che li ho smentiti da solo. 

Forse non ho saputo vedere nei trenta-trentacinquenni che ho incontrato quel sottile equilibrio, forse perché il destino si diverte a giocare con i nostri progetti, fatto sta che qualcosa di simile a quello che desideravo l’ho trovato in persone più piccole, con le quali sono felice di avere condiviso (e di stare condividendo) una parte della mia vita.

Per questo non mi ha sorpreso più di tanto la confessione di Grillini. Per lo stesso motivo sarei curioso di conoscere altre storie simili, per capire cosa vuol dire stare insieme quando, in apparenza, sono più le cose che ci dividono di quelle che ci uniscono. Ammesso poi che stare insieme a un coetaneo sia semplice…

Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.

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di Flavio Mazzini

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Lorenzo Voltarel 14.12.16 - 23:58

anche se di 8 anni fa trovo che l'articolo sia molto attuale. sto vivendo la situazione in cui ho paura che le persone a me più care non accettino l'eventualità che io voglia stare con un uomo più maturo di me, e io ho 18 anni. per più maturo intendo anche 35 anni

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