Prima che arrivassero gli americani con i loro "Just do it" o "Yes, we can" era stata millenni prima dei latini la capacità di sintetizzare un pensiero con motti che sanno di "slogan" pubblicitari. "In media res stat virtus" descriveva con chiarezza presuntuosa e assoluta la politica del compromesso che caratterizzava la diplomazia interna romana. L’adagio è indiscutibilmente apprezzabile e pressoché applicabile a molti ambiti che rifuggano posizioni manicheiste ma è del tutto inadatta ad alcune specifici ambiti.
Non puoi essere di sinistra e di destra, non puoi apprezzare gli spettacoli del Bagaglino ma allo stesso tempo non perderti neppure una puntata di Anno Zero come non puoi essere passivo e pure attivo. È una cosa che sostengo da sempre: la versatilità è un’illusione tanto quanto il raggiungimento di un compromesso tra Israeliani e Palestinesi: agognato in un mondo ideale ma inapplicabile su quello che calpestiamo.
E non è affatto una provocazione. Semmai è una certezza che si è andata consolidando in anni d’esperienza. Pur senza averne mai l’intenzione, la sperimentazione costante e l’ampia popolazione coinvolta nella ricerca mi ha portato a essere scientificamente sicuro di questo: il versatile puro ha dell’immaginifico quanto il Cosmopavone di Calende Men. Mettiamo immediatamente in chiaro il fatto che "fare" il versatile non significa "esserlo" tanto quanto andare in chiesa a battersi il petto non sia necessariamente indice di fede ma di usanza indotta. Come anche fare l’attivo dopo aver perso ad una partita di "pegno o verità" o provare ogni 29 febbraio non ti da certamente la patente A/P.
Ma allora perché non essere sinceri e dire: preferisco l’accoglienza alla donazione (pratiche filantropiche entrambe degnissime di rispetto)? Il timore del giudizio. È questo che spinge moltissimi gay non solo a trincerare la loro preferita passività dietro una cortina vaga e rassicurante chiamata versatilità e se dio mi avesse regalato un secondo di giovinezza per ogni volta che mi sono imbattuto in finti versatili-veri passivi ora girerei in passeggino invece che in scooter. Perché la cosa matematicamente provata è che non trovi mai un sedicente versatile che poi posto davanti l’evidenza dei fatti (meglio noto come "il culo") si riveli attivo. Fatalmente, calando le carte insieme alle braghe, rivelerà un bel poker di bottom. Come se preferire il ruolo passivo fosse qualcosa da nascondere come una cena a casa di Meredith Kercher la sera dell’omicidio.
Ricordo ancora la sera in cui conobbi un tipo in un bar. La seconda cosa che gli chiesi dopo il nome fu appunto se fosse uno che lo prendeva o lo dava (all’epoca non avevo ancora sviluppato il talento del riconoscimento al primo sguardo e comunque fui più laterale nell’affrontare la questione). Ricevute le garanzie sperate andammo da me. Una volta al letto il suo corpo iniziò a parlare una lingua cacofonica fino alla totale dichiarazione di passività. Beh, come un cliente che si vede rifilato un mattone al posto di una radio gli chiesi spiegazioni. "Sai, io in genere sono attivo ma stasera mi sento di prenderlo perché mi ispiri". Io? Uno conosciuto 5 minuti prima di cui a malapena ricordi il nome? L’ingenuità fu ovviamente punita con un cambiamento di programma, la visione di un dvd e la cancellazione del numero in rubrica.
Purtroppo questa è un’ipocrisia ben diffusa, soprattutto in Italia e che ci portiamo avanti da secoli. Qui la passività viene biasimata. Sociologi della cultura direbbero che in un’ottica mediterro-fallocentrica chi ha un ruolo sessuale passivo, quindi simile a quello della donna (che proprio apprezzatissima da noi non lo è mai stata), "abdica" al suo ruolo dominante "inferiorizzandosi". Io invece dico semplicemente che essendoci più passivi che attivi, molti se la giocano spacciandosi per versatili e facendo affidamento sull’effetto "SCAUVCSLPVCSAQPMEFLL’A" (ovvero: speriamo che abbia una voglia che se lo porta via così soprassiede a questa piccola menzogna e fa lui l’attivo).
Lo scenario così passa da commedia romantica a film western e più precisamente la scena del duello: uno contro l’altro, in singolar tenzone. Vince ovviamente il primo che si gira e che costringe quindi l’altro a fare il lavoro sporco.
di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti
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