Certe volte sembra che l’omosessualità sia un fenomeno esclusivamente metropolitano: libero e diffuso fino a costituire i cosiddetti “quartieri gay”, nei quali si può girare mano nella mano col proprio partner o infilarsi nei tanti locali a disposizione. Ne è una riprova l’attrazione esercitata da città come Parigi, Londra, Berlino o Barcellona, mete gay dodici mesi l’anno, dove ci si dimentica delle baruffette politiche e delle banalità vaticane e ci si scatena in nottate selvagge o in romantici weekend da coppie ‘normali’.
Senza raggiungere queste vette e tranne qualche triste eccezione recente, va detto che anche Roma e Milano hanno raggiunto livelli dignitosi, fagocitando un po’ il resto del Paese. D’accordo, Torino ha un festival importante, Bologna è una sede storica, Padova è in continua espansione, Genova ha appena visto un Pride nazionale e, al sud, anche Napoli e Catania non scherzano, però non c’è paragone. Roma e Milano non saranno il massimo mondiale quanto ad offerta, però vi si sono già diffusi gli sneaker, i bears, i leather party, le serate all’insegna della golden shower, del fist e via dicendo.
Mentre si rischia di passare le serate in bianco se si decide di passare due giorni (specie in mezzo alla settimana) nelle perbeniste cittadine del nordest (governate da gente che in Europa al massimo consegnerebbe la posta) o del nordovest, per non parlare del sud, delle isole e perfino di certe insospettabili progressiste regioni del centro. Tanto vale allora rischiare e gettarsi nella provincia più sperduta, per scoprire che il sesso si fa anche lì, magari in isolatissime spiaggette estive, in cruising scovati per caso o in incontri clandestini con paradossali addii al celibato (vissuti con un amante per cui non occorre l’apostrofo).
Almeno questo ho pensato trascorrendo qualche giorno nella magnifica Firenze, assediata da turisti in continuo avvicendamento. Una città così bella e frequentata e con grandi ambizioni di modernità, ma priva di un’altrettanto vivace vita gay. Chattando coi ragazzi della zona e infilandomi nell’unico locale aperto di lunedì, l’Hardbar85, ho scoperto che l’ondata di entusiasmo degli anni ’70, quando la città dei Medici sembrava poter divenire quasi una capitale gay, si è ormai spenta e che il cruising delle Cascine, dove un tempo si vivevano piacevoli incontri di gruppo, sono ora frequentati da troppi sudamericani dai coltelli facili.
Inoltre pare che i fiorentini siano diffidenti e non amino farsi vedere dentro i locali, e che gli stranieri omosessuali si accontentano delle bellezze diurne, sapendo di avere al ritorno ben altro a disposizione. Perfino in chat i risultati non sono stati strepitosi. Non che la mia città da questo punto di vista sia l’Eden e nemmeno che io pretenda di interessare a tutti ma i giovani (e meno giovani) gay fiorentini sembrano ancora più difficili dei romani, col volto coperto e assai riluttanti ad incontri reali. Le occasioni per divertirsi sono affidate quindi all’unica sauna e a un paio di sex club, assai disponibili ed attenti alla sicurezza (ampia distribuzione di preservativi) e con idee stuzzicanti che si rifanno alle metropoli europee, come il bagno attrezzato per la ‘pioggia dorata’, una piscina scoperta per piacevoli notti estive e una serata aperta anche alle donne.
Ma in certe serate c’è il deserto e probabilmente, perché gli stimoli attecchiscano, serve tempo e pazienza. Per il momento ciò che pare funzionare meglio sono il leather party (quelli vanno sempre bene) e la serata underwear, che attira, oltre alla solita clientela di 30-50enni, anche qualche giovane evidentemente incoraggiato dal non doversi spogliare completamente o forse, suggeriva maliziosamente qualcuno, dal poter sfoggiare un nuovo paio di mutande firmate.
Una visione troppo nera? Oppure, in città come Firenze, Venezia, Bari, Cagliari, si risente troppo del clima asfittico del Paese e della scarsa lungimiranza di chi governa, che si limita a constatare le realtà metropolitane o le coppie di stilisti? Mi piacerebbe approfondirlo insieme ai lettori e scoprire quali realtà si nascondo immediatamente dietro le due principali città italiane. Chissà che non si riesca, se non a sfondare una porta, almeno a smuovere un po’ le acque.
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.
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di Flavio Mazzini
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