TRA CHECCHE E MASCHIONI.

Di città e di paese. Differenze, somiglianze, convergenze parallele e doppie vite.

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Adoro le checche. Le regine evanescenti e sfrontate, che si atteggiano esplosive lasciandosi alle spalle aloni di profumo dolce che stordisce, nella costante consapevolezza che il loro esistere non lascia indifferenti. Aristocratiche e isteriche, ricordano angeli esangui o barbie atomiche. Mi piace la loro maniera di gesticolare leziosa e teatrale, l’esibizionismo privo di remore che cola e si dilata, gonfiandosi a dismisura a dispetto di ogni considerazione "politicamente corretta".

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I maschioni, quelli gonfi e virili, grondanti testosterone, mi affascinano meno ma mi incanta la perfezione dei loro corpi allenati e abbelliti da lunghe sedute in palestra e da frequenti saune (fatte sia per motivi estetici che per rapidi contatti sessuali nelle apposite cabine). I miei amici appartengono a entrambe le categorie, e siccome vivo fra un paese medio-piccolo, San Remo, e una città con ambizioni cosmopolite, Bologna, mi sono permessa di tentare una classificazione di nessun valore, mettendo in evidenza le abitudini, le divergenze e le convergenze delle varie tipologie. Sapendo che ogni definizione è limitativa, solo per avere l’occasione di tracciare un quadro di costume, geografico e soprattutto ironico.

Le checche di città sono alte, snelle e pallide, di un pallore innaturale e feroce. Eleganti, dalla pelle morbida e curata e dalla bocca carnosa, sono dissacranti creature dalla potenziale sessualità radioattiva. Possono avere comportamenti eccessivi ma sono capaci di mimetizzarsi e di non farsi notare, a seconda degli ambienti che frequentano. Camaleontiche e sinuose, dedicano una cura maniacale ai dettagli architettonici delle loro belle case. Spesso fanno lavori creativi, e hanno un certo cotè dandy capace di affascinare uomini e donne. Seduzioni improprie, indefinibili, acrobatiche.

Sono proprio le donne ad andarne pazze, quando ne incontrano una le si buttano addosso come mosche sul miele. Le cercano con insistenza, le frequentano, tentano di sedurle a volte con risultati disastrosi che rafforzano il masochismo sentimentale di entrambe, altre volte con risultati migliori, quando si tratta di persone decisamente all’avanguardia sul fronte "queer". Anche le checche amano avere donne attorno come migliori amiche o confidenti. Si fanno vedere in giro con loro, nei locali alla moda o nei sushi bar à la page.

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Le scelgono come depositarie di segreti e confidenze (vedi "Il diario di Briget Jones", presto sugli schermi), o come conforto per le serate solitarie e malinconiche.

Le checche di città non credono agli schemi fissi della sessualità, anzi dichiarano apertamente che il sesso è cultura e non natura, anche se poi sanno che il pisello è un elemento naturale imprescindibile come l’ossigeno. Conoscono la storia del Cavaliere d’Eon e le teorie esposte da Helena Velena nel libro "Dal cybersex al transgender", ma di solito si ritrovano ingabbiate in amori senza sbocco per etero irrisolti che le consumano fra pianti e sfuriate isteriche.

Hanno fatto outing da tanto tempo, sapendo di avere accanto famiglie emancipate che li rispettano e considerano un fatto privato tutto quello che riguarda la loro sessualità.

Certo le mamme, quando le vedono insieme alle loro migliori amiche, per un attimo, ma solo per un attimo, si perdono in fantasie, sognano un nipotino che scorazzi per casa, ma poi scacciano l’immagine e riprendono a farsi i fatti loro. Amano Moira Orfei, Marlene Dietrich e Patty Pravo. Anzi le venerano. Non disdegnano Madonna e talvolta la Carrà.

Le checche di un paese medio piccolo di solito ci sono venute a vivere per seguire un grande amore o perché provengono da un paese ancora più piccolo. Il dramma è che il paese medio di solito è più omofobo di un paese piccolo, perché è pretenzioso e con una società civile benpensante e legata alle convenzioni. Inoltre, il paese medio produce una lenta e inesorabile assuefazione. San Remo, ad esempio, "sanremizza" i suoi abitanti, chi ci è nato e soprattutto chi sceglie di abitarci. Il fenomeno è paragonabile a una specie di mutazione genetica. Alcune checche si adattano perfettamente, si integrano nel tessuto sociale e lo esaltano. Aspettando l’arrivo delle sagre e dei vari pippibaudi, come le casalinghe della prima periferia, progettano incursioni nei locali stuzzicanti della riviera francese come le signore progettano visite domenicali all’acquaparco, oppure si dedicano ad un animale domestico che viene adorato e viziato. Hanno un bell’incarnato colorito, seguono la moda senza isteria, cenano volentieri nelle trattorie dell’entroterra e di solito al sushi preferiscono delle trenette al pesto.

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Altre non si integrano mai. Vivono solitarie e appartate, si inalberano per niente sentendosi perennemente vittime delle discriminazioni di una popolazione retriva. Diventano logorroiche, si compatiscono, passano da un lavoro all’altro e nel tempo libero guardano le vetrine osservando le lussuriose esibizioni di articoli di alta moda che non possono permettersi.

Non hanno molte amiche donne, perché nei paesi è ancora poco diffusa la figura dell’"amica del gay". Quando ne incontrano una disponibile le balzano addosso con voracità. La monopolizzano, e la eleggono depositaria di irripetibili confidenze erotiche, di solito sodomie multiple nel buio dell’angiporto o negli angoli protetti dietro la vecchia stazione.

Hanno fatto un outing parziale e di solito è la mamma che sa, che li protegge, che giudica i fidanzati, che li copre con gli altri membri della famiglia. Una mamma energica e scattante che se li vede con una ragazza non gioisce ma prova un sussulto di gelosia, e lo fa notare lamentandosi di avere sofferto anche troppo e di essere rimasta tanto affezionata a quel bravo ragazzo che era il precedente fidanzato.

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I maschioni grondanti testosterone, palestrati e possenti, sono simili nelle città e nei paesi. Ruspanti, a volte rasati, con eroticissime canottiere traforate, non frequentano volentieri locali gay e sushi bar ma preferiscono parcheggi e oscuri luoghi di battuage.

Amano i culetti, alcuni si fanno una fanciulla ogni tanto, molti gradiscono le coppie. Non sanno niente di transgender, di fluttuazioni dell’identità, perché non si pongono il problema. Amano tutto del sesso e fanno tutto, o quasi. Se gli parli del cavaliere D’Eon si rompono le scatole, ma se li inviti a un partouze non rifiutano di sicuro. Qualcuno ha famiglia e pargoli a casa, e gestisce con attenzione e abilità una complicata doppia vita fatta di incastri, altri sono prevalentemente gay, magari con una ex moglie perduta in un remoto passato.

E dopo questo excursus giocoso un consiglio: non datemi retta, la realtà mischia le carte, si fa beffe di tutte le definizioni e delle varie tipologie, geografiche e antropologiche. La realtà, per fortuna, è molto più complessa, variegata, fatta di smottamenti, intersezioni, zone grigie e oblique. Ed è questa la sua meraviglia.

di Francesca Mazzucato

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