Quali sono i limiti legali, di decenza morale e buon gusto di un reality show? Dopo aver assistito alle prime puntate dell’agghiacciante ‘La Fattoria’ con Fabrizio Corona trattato da potente ras ‘denoiantri’ a cui baciano perfino i piedi, la risposta è: nessuno. Ma le frontiere di questo sottoprodotto televisivo che ha ormai pervaso le frequenze catodiche possono ancora essere spostate un po’ più in là. Ecco dunque ‘Live! Ascolti record al primo colpo’ di Bill Guttentag, vincitore di due Oscar per altrettanti corti documentari.
Questa volta si cimenta con un curioso real-thriller che parte da un’idea forte e vincente: un reality estremo, in cui sei concorrenti si giocano il montepremi di 5 milioni di euro alla roulette russa. Una pistola a tamburo, un solo proiettile: una possibilità su sei di rimanerci secchi. In diretta tv. La dirigente televisiva Katy Courbet, nel cui ufficio troneggia il poster de ‘La dolce vita’, ossessionata dagli indici d’ascolto e alla ricerca disperata di un’idea dirompente per il suo network affamato di share, rimane conquistata dall’idea buttata lì da una consulente e fa di tutto per portare in porto, anzi in prima serata, il suo folle progetto mediatico. Ci riuscirà.
“In questo mondo è duro essere messicani. È duro essere poveri ed è ancor più duro essere gay! Se poi sei tutte e tre le cose, è una fregatura!”. Così si racconta Pablo Rodriguez (Jay Hernandez, adeguato), ragazzo gay non effeminato molto legato alla mamma iperlavoratrice, scelto nella sestina finale dei concorrenti composta anche da un fattore indebitato, un biondino laureando, un’aspirante attrice, un’ex modella e uno scrittore nero fallito. Perché lo stereotipo dell’omosessuale madre-dipendente è così duro a morire anche al cinema? C’è anche un accenno lesbico, con un bacio saffico a sorpresa molto ad effetto di un personaggio che non vi riveliamo.
Costruito come un mockumentary, cioè un finto documentario in soggettiva (un operatore riprende il making of del programma, come in ‘Coverfield’ o ‘EdTV’, ma siamo dalle parti di ‘Serie 7 – The Contenders’ per il meccanismo fintamente ludico del gioco) in cui spesso gli attori guardano in macchina, complici del backstage, ‘Live!’ propone in coda lo show integrale, come se fosse per davvero trasmesso sul grande schermo, alternato ad alcune in scene in cabina di regia.
La struttura narrativa è decisamente rozza e prevedibile, con un clamoroso buco di sceneggiatura – se fosse morto uno dei primi concorrenti, come sarebbe andato avanti il programma? – e ha tutta l’aria di quei prodotti americani un po’ sbruffoncelli e provocatori a tutti i costi che tendono a spettacolarizzare l’avventatezza amorale per puri scopi economici. La protagonista Eva Mendes è carismatica ma monolitica, soprattutto quando esclama: “Voglio spingere il mezzo al massimo, reinventandolo”.
‘Live!’ stimola però alcune riflessioni cruciali sulla deriva del teleuniverso contemporaneo: apparire in tv è davvero l’ideale supremo delle nuove generazioni? Assistere alla morte in diretta (altro che ‘Il cacciatore’ o Tavernier!) è l’unico stimolo per rivitalizzare un pubblico narcotizzato da qualsiasi cineimmagine? La diffusione delle armi è così pericolosa negli Usa e la tv contribuisce a facilitarla pubblicizzandola?Curiosità: l’articolo sul ‘Los Angeles Times’ sul raid antigay ai danni di Pablo che si intravede nel video di presentazione a cui viene aggiunto un gruppo mariachi decisamente kitsch, è firmato proprio dal regista Bill Guttentag. Inoltre, Pablo compare persino sulla copertina della vera rivista gay ‘The Advocate’. Credete che non la otterrebbe, nella realtà, se ‘Live!’ fosse programmato, diciamo nel 2050? Secondo me è tragicamente possibile. Voi che ne pensate?
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