Perché il trono gay di Uomini e Donne è importante

Per scardinare qualcosa negli strati più impermeabili alla cultura del rispetto, a quei baci che non vogliono vedere, a quella vicinanza fisica che capita ancora di vedere sanzionata e vilipesa.

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Tronisti durante una scena di Uomini e Donne di Maria De Filippi.
4 min. di lettura

A settembre la roccaforte del trash televisivo, il date-show Uomini e donne di Maria De Filippi, prenderà una piega che sta suscitando una serie di vivaci reazioni, soprattutto sui social. L’iniziale confuso vociferare ha trovato ora conferma ufficiale dalla stessa De Filippi: arriverà per la prima volta il trono gay. La faccenda già da settimane sta polarizzando gli animi (sono aperti i casting leggi > ): giovani omosessuali che puntano al mondo dello spettacolo che si entusiasmano e si lanciano in candidature improbabili, hipster e poser intellettualoidi che – a prescindere – guai a parlargli della De Filippi, mammine reazionarie che a mezzo Fb o Twitter postano commenti scandalizzati, lamentando che per l’amor di dio, trattasi pur sempre di fascia protetta. Come se stessimo parlando di un talk cattolico della Bianchetti e non di una delle robe meno edificanti del panorama televisivo italiano.

Uomini e donne – lo diciamo per i poeti e i monaci trappisti che non guardano la tele – è essenzialmente due cose: video registrati (le famigerate “esterne”) in cui il o la tronista flirta coi corteggiatori, con esiti che non si esagera a definire soft porno, tra limoni duri e mani libertine e, in secondo luogo, le ricorrenti azzuffate in studio, condotte con un linguaggio ormai sedimentato fatto di tormentoni (“sei qui per le telecamere” – “a te di lui non te ne frega niente!”) sorretti dall’animazione pecoreccia degli opinionisti, tra cui l’ormai iconica Tina Cipollari e dello storico pubblico parlante. Una sequela di scene in cui ventenni poco avvezzi al ragionar sottile giocano con i sentimenti e la loro rappresentazione, sotto lo sguardo della laconica De Filippi, che appollaiata sulle scale sembra con la sua postura dire al telespettatore: io ti faccio vedere ‘sta roba che ti piace tanto ma sia chiaro che io non c’entro niente.

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Apprendiamo dai commenti di questi giorni che le madri parcheggiano abitualmente i figli davanti allo show pomeridiano che mette in scena una visione dell’affettività specifica, visione a cui evidentemente ci siamo tutti un po’ abituati, se ormai pure i bambini possono assistervi senza problemi. Purché il tutto resti rigorosamente eterosessuale, s’intende. Qui sta il punto interessante di tutta la faccenda: da alcune delle reazioni sui social emerge l’idea che l’omosessualità sia, già solo in quanto omoaffettività, da fascia protetta, spettacolo di devianza, obbrobrio che merita di essere nascosto. Già questo dimostra che il trono gay s’ha da fare eccome.

La De Filippi ha dichiarato di voler mostrare la normalità del rapporto di coppia omosessuale (in realtà qualcuno dice che sia alla ricerca degli ascolti almeno in parte perduti). In ogni caso, la rabdomante del mainstream televisivo italiano ha deciso che è arrivato il momento, i tempi sono maturi per questa svolta che, piaccia o meno, sarà comunque una pagina nuova del costume, in particolare per quanto riguarda la rappresentazione dell’omosessualità, tradizionalmente raccontata in tv attraverso figure folkloristiche, buffe e rigorosamente singole, mai in relazione. Macchiette non emotive, pagliaccetti eccentrici, comici e magari avanti con gli anni, che occultano la loro affettività buttandola sempre sul ridere. La novità non è quindi tanto quella di portare i gay in tv, ma il fatto di aprire le porte alla narrazione delle dinamica affettive omosessuali, anche se le dinamiche saranno piegate allo schema di Uomini e donne. E anzi proprio questo ci sentiamo di chiedere alla De Filippi: che ci sia, ad esempio, la consueta esibizione di carne poco pensante, proprio com’è avvenuto finora. I tronisti sono stati l’oggetto di sogni erotici e venerazione sociale: quindi l’intersezione tra lo status symbol e la comunità gay non può che incuriosirci, promettendo il toccarsi in uno stesso punto – lo studio di Maria – di ciò che tutti vogliono e di ciò che tutti rifiutano.

Il rischio beninteso c’è eccome. La scommessa potrebbe rivelarsi illusoria se, ad esempio, le storie dei giovani omosessuali venissero trattate in modo diverso da quelle eterosessuali. Se trash deve essere, che trash sia. Vogliamo il pane, le rose e Danielona la scampata ai domiciliari che ci urla “vergogna”, le mani sul culo e la promiscuità sfacciata che fonde e confonde messa in scena, ormone e sogno romantico. L’occasione sarebbe persa se il trono gay venisse modulato in modo diverso da quello etero, ma gli esperimenti a C’è posta per te di questi ultimi mesi lasciano ben sperare (LEGGI >). Il paio di storie omosessuali andate in onda quest’anno sono state raccontate dalla De Filippi in modo asciutto e senza alcun tipo di precauzione particolare: le cose sono state dette in modo semplice e piano, senza caricatura, morbosità o omissioni. Il team autorale gay friendly di Queen Mary è in questo senso abbastanza una garanzia.

In definitiva il trono gay sarà probabilmente al contempo meno e più di quel che si dice. Meno nel senso che sarà certo sempre Uomini e donne, quindi un programma che ha il suo linguaggio e che parla solo ad alcune fasce della popolazione, più nel senso che proprio quel pubblico meno intellettualmente raffinato e istruito avrà modo di venire in contatto col racconto delle coppie gay e lesbo. Appunto perché Uomini e donne non è un prodotto culturalmente alto, la presenza omosessuale potrebbe scardinare qualcosa lì dove pare essercene più bisogno, negli strati più impermeabili alla cultura del rispetto, abituando lentamente anche i più ostili ad adottare uno sguardo nuovo sulle cose, a vedere quei baci che non vogliono vedere, quella vicinanza fisica che fuori nel mondo, ancora capita di vedere sanzionata e vilipesa. E se tutto ciò avverrà attraverso un programma tamarro e poco chic, pazienza. Questo è Uomini e donne. Chi non lo guarda continuerà a non farlo, ma non ci dispiace per niente che chi ama questo tipo di tv venga condotto, bene o malvolentieri, al cospetto di una più ampia umanità di quella che finora ha potuto essere rappresentata e raccontata.

In ogni contesto bisogna spostare le soglie e ampliare gli sguardi. Ergo, la nostra libertà passa pure da qui.

Jonathan Bazzi

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