HIV: SERVE IL PAZIENTE INFORMATO

Lotta all’Aids: arrivano farmaci “once-a-day” e nuove tecniche per individuare la terapia migliore. Ne parlano gli attivisti di Nadir a confronto con i ricercatori durante il Seminario annuale.

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ROMA – Una delle sfide centrali nella gestione del paziente sieropositivo è l’individuazione della terapia adatta. Le combinazioni di farmaci attualmente disponibili consentono di tenere sotto controllo l’infezione da Hiv, ma spesso determinano l’insorgere di gravi problemi collaterali. E’ quindi necessario che ciascun paziente abbia a disposizione gli strumenti che gli consentano di individuare, insieme con il proprio medico, quella terapia alla quale egli possa aderire senza sforzi insormontabili, che non sviluppi problemi nella sua vita quotidiana, e che mantenga un’elevata efficacia nella lotta al virus.
Nuove tecniche al servizio del paziente
Oggi, oltre all’aumento delle opzioni farmaceutiche antiretrovirali, assistiamo allo sviluppo di tecniche di laboratorio capaci di individuare soluzioni terapeutiche sempre più adatte alle esigenze personali dei pazienti. Tra queste una delle più recenti è la cosiddetta TDM, o Therapeutic Drug Monitorino (letteralmente monitoraggio terapeutico del farmaco), che misura la concentrazione del farmaco nel sangue del paziente. Attraverso l’uso di questa tecnica è possibile valutare la dose minima di farmaco da somministrare affinché tale concentrazione non scenda mai sotto la soglia dell’efficacia, limitando al contempo gli effetti collaterali in maniera sensibile.
Di questa tecnica, e di molto altro ancora, si è parlato lo scorso fine settimana a Roma, al Seminario “Undetectables 2004”, organizzato da Nadir, una Onlus che da anni opera al fianco delle persone sieropositive per ottenere terapie sempre più efficaci. Durante il seminario si sono alternati interventi di attivisti delle associazioni di lotta all’Aids, medici e esperti. Filippo Von Schloesser e Simone Marcotullio di Nadir, insieme con Mauro Guarinieri, presidente dell’European Aids Treatment Group, hanno aperto il Seminario con un resoconto della recente Conferenza Mondiale di Bangkok. Nel pomeriggio di sabato sono intervenuti, poi, il dottor Pasquale Narciso dell’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, che ha parlato della semplificazione delle terapie, e il professor Massimo Galli, dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, che ha illustrato le più recenti acquisizioni in tema di effetti collaterali.
La persona in terapia, medico di se stesso
Il professor Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Amedeo di Savoia di Torino, ha presentato un intervento dal titolo illuminante: “Una persona in terapia deve essere farmacologo di se stesso”. Di Perri opera in uno dei tre centri in Italia dove è disponibile la TDM, una tecnica che, pur offrendo ottime prospettive, trova ancora scarsa applicazione. Come mai? «E’ necessaria l’informazione da parte del paziente – ha evidenziato Di Perri – Se una persona sieropositiva conosce le nuove opzioni delle ricerca scientifica può consapevolmente rivolgersi al proprio medico per capire se accedere a queste tecniche può essere per lui necessario. Ma non dimentichiamo che si tratta di opzioni ancora limitate alla ricerca, di non immediata esecuzione (soprattutto per il paziente che deve sottoporsi a più prelievi nell’arco della giornata) e di difficile interpretazione da parte del medico. Come tutte le novità terapeutiche anche questa avrà quindi bisogno di tempo per affermarsi nella pratica clinica quotidiana».
Once-A-Day: opportunità e rischi
Un’altra importante novità di cui si è parlato nel seminario riguarda i cosiddetti farmaci Once-A-Day, che cioè richiedono una sola somministrazione al giorno. Sono sempre più numerosi i prodotti immessi sul mercato in una formulazione che consente di ridurre al minimo il numero delle somministrazioni, semplificando notevolmente la vita delle persone sieropositive. Questi farmaci sono nati con lo scopo di garantire una migliore aderenza alla terapia da parte del paziente che potrebbe, in questo modo, avere un solo incontro al giorno con le medicine. Alcuni attivisti hanno espresso alcuni dubbi riguardanti i rischi di fallimento terapeutico legati all’utilizzo delle Once-A-Day: alcuni pazienti temono infatti che, in questi casi, saltare una somministrazione significhi avere un periodo “scoperto” molto più lungo rispetto al caso della doppia assunzione giornaliera. «Se una persona prende i farmaci prima di andare a letto – è stato osservato – la successiva occasione per ricordarsi di prenderli, nel caso l’abbia dimenticato, è al risveglio, almeno sette-otte ore dopo l’orario previsto, il che determina un lungo periodo in cui la concentrazione di farmaco nel sangue potrebbe scendere sotto la soglia di efficacia». Secondo gli esperti, questo possibile rischio in realtà si presenta solo con poche molecole oggi approvate in modalità Once a day. Ed escludono che ci sia un reale pericolo di fallimento della terapia se l’opzione Once a day viene utilizzata correttamente, cioè con i pazienti in una situazione clinica non di pericolo. Questo non toglie comunque che occorre esaminare la capacità di ciascuno di seguire perfettamente la propria terapia prima di abbracciare entusiasticamente la possibilità della Once-A-Day.
Niente soldi per la ricerca
Infine tutti i medici intervenuti non hanno potuto che evidenziare la sempre più preoccupante scarsezza dei finanziamenti alla ricerca, soprattutto riguardo quelli provenienti dallo Stato e in quanto tali slegati dalle logiche di mercato che condizionano gli interventi delle case farmaceutiche. In un settore come quello dell’Hiv/Aids, relativamente recente nella storia della ricerca medica – poco più di vent’anni sono davvero pochi per avere una storia clinica dettagliata – nonostante gli sforzi encomiabili di tanti ricercatori, non tutto è ancora chiaro; molte questioni fondamentali restano ancora oscure, e l’investimento economico nella ricerca è fondamentale tanto quanto l’informazione adeguata a tutte le persone interessate.

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