A Ivrea, una donna di 30 anni è stata denunciata dal suo datore di lavoro per avergli rivolto un insulto omofobo. Il giudice, dopo il processo, ha deciso di condannare la donna a 20 giorni di carcere con la condizionale e una multa da 1.500€. L’insulto, presente all’interno di una frase, era stato scritto sul profilo Facebook della donna. Era inequivocabilmente rivolto verso il suo datore di lavoro, proprietario di uno studio di bellezza, dove la donna lavorava come parrucchiera.
L’offesa omofoba riportava “fagli causa a quel r**chione“. Era presente come commento a uno stato di una collega della donna, a cui non era stato rinnovato il contratto di lavoro.
La denuncia del datore per l’insulto omofobo
Il datore di lavoro, scoperto l’insulto, ha deciso di denunciare la sua dipendente per diffamazione. Il processo, iniziato nei primi mesi del 2018, si è concluso lunedì 10 dicembre, con la sentenza che condannava la donna. Il suo ora ex-capo aveva chiesto anche 30.000 euro di risarcimento danni, ma il giudice Lodovico Morello ha preferito ridurre di molto la cifra, fissandola a 1.500 euro.
E’ la prima volta che una persona viene condannata a una pena così dura per un insulto omofobo tramite un social network, ma è un primo caso che potrebbe aprire la strada a molte altre denunce per insulti simili, che compaiono sempre più spesso in rete. Fuori dall’omofobia, recentemente a Rivalta diversi Comuni avevano denunciato degli utenti social per delle pesanti offese rivolte agli agenti della Polizia Municipale. Un caso già noto è quello riguardante le offese inviate, sempre tramite i social, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quando i due vice-premier tentavano di formare un governo.
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Soddisfatto che l'omofobia venga punita. Ma ritengo gravissimo che una lavoratrice sfruttata venga affossata ancor di piú. Il diritto primario è quello al LAVORO, e gli insulti omofobi non sono sufficienti per sfruttare una lavoratrice.