Allarme epatite C: aumentano i furti dei farmaci. Ecco perché è necessario garantire le cure a tutti i malati

"I pazienti che eliminano il virus ricorreranno molto meno agli ambulatori e ai farmaci, con conseguenti risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale".

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Epatite C: i farmaci vanno letteralmente a ruba.

La denuncia arriva dalla Società italiana dei farmacisti ospedalieri: negli ultimi due anni sono aumentati i furti di farmaci.

Il fenomeno riguarda soprattutto i nuovi farmaci, più efficaci e meno tossici che, essendo costosissimi, sono diventati oggetto di interesse del mercato nero. Vengono rubati dai trafficanti, che li forniscono direttamente ai pazienti avvicinati sul web. Nel 2016 sono stati 7 i furti di medicinali dell’HCV, meno rispetto al 2014 ma più rispetto al 2015: in aumento anche i furti durante il trasporto, quest’anno arrivati a 36 casi.

I parametri statali infatti limitano l’accesso ai nuovi farmaci solo ai malati gravi: questo provoca conseguenze gravi, come l’approvvigionamento di farmaci equivalenti all’estero. È per questo che è nata la “Rete senza la C”, composta dalle associazioni Aned (Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto), Epac (Pazienti con epatite e malattie del fegato),FedEmo (Federazione Associazioni Emofilici), L’Isola di Arran(Associazione impegnata nella lotta all’emarginazione legata alla droga), Nadir (Pazienti con HIV) e Plus (Persone LGBT Sieropositive). Obiettivo: curare tutti i malati di epatite C, senza se e senza ma.

Antonio Chirianni, presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), afferma che l’ampliamento dei criteri di accesso alle cure “rappresenta un investimento i cui risparmi si vedranno nel lungo termine. I pazienti che eliminano il virus, non solo non sono costretti ad assumere farmaci a vita, ma ricorreranno molto meno agli ambulatori e ai ricoveri (anche per trapianti), con conseguenti risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale”.

“Secondo una recente indagine condotta su 86 centri autorizzati alla prescrizione dei nuovi farmaci per la cura dell’epatite C”, spiega Ivan Gardini, presidente di Epac Onlus, “risulta che circa 500 italiani sono andati in India ad acquistare i farmaci equivalenti ma se consideriamo anche quanti non lo dichiarano, ne stimiamo oltre un migliaio. I pazienti acquistano i farmaci all’estero perché si sentono in un vicolo cieco, nessuno è in grado di poter dire quando saranno curati. Fare una programmazione senza limitazioni di accesso significa poter dire a queste persone quando saranno curate e fa una differenza enorme. Ad oggi ne curiamo circa 30mila l’anno e con gli 1,5 miliardi spalmati in un triennio previsti in legge di Bilancio, anche il Ministro Lorenzin si è posta l’obiettivo  di voler curare 50.000 pazienti l’anno: questo potrebbe far sì che possano cadere le barriere di accesso, e restare comunque nei limiti del budget annuale stanziato prevedendo delle priorità di cura, come ad esempio chi ha una co infezione con altri virus, sindrome metabolica, diabete o altre comorbidità. La programmazione va rivista anche per far sì che le risorse stanziate siano pienamente sfruttate. “Esistono infatti centri autorizzati alla prescrizione dei farmaci che stanno finendo di trattare pazienti con malattia avanzata, ma hanno numerose persone in attesa con malattia meno avanzata che, secondo i criteri attuali, non possono curare”.

Particolarmente delicata è la situazione dei tanti che hanno coinfezioni. In particolare, spiega il presidente di Nadir onlus Filippo von Schloesser, “sono 15.000 le persone con infezione da HCV attiva e positive anche al virus dell’HIV, di queste oltre 2/3 hanno un grado di fibrosi preoccupante, ma non ancora in stadio avanzato e quindi non hanno accesso ai nuovi farmaci. Riteniamo abbiano una necessità clinica urgente al trattamento, perché comunque hanno una progressione accelerata della malattia epatica rispetto a chi ha solo il virus dell’Epatite C”.

Circa 6.000 sono gli emofilici in Italia, 1.000 dei quali con HCV in conseguenza dell’uso di plasmaderivati infetti, ovvero di medicinali salvavita al cui utilizzo il paziente non poteva sottrarsi. “Se nella media della popolazione italiana gli infettati da HCV si stima rappresentino circa il 2% del totale, tra gli emofilici l’incidenza è quasi del 20%”, sottolinea la presidente di FedEmo Cristina Cassone, “un’incidenza estremamente rilevante, accompagnata in molti casi anche dall’infezione da HIV. Riteniamo che laddove esista una cura, questa debba essere accessibile a chiunque ne abbia necessità, a maggior ragione se in presenza di coinfezioni e/o altre patologie gravi concomitanti”. Novemila sono invece le persone malate di reni, dializzate e sottoposte a trapianti, che hanno anche un’infezione di HCV, contratta a seguito di trasfusioni, somministrazione di emoderivati o, durante la dialisi, venendo a contatto con tratti ematici di altre persone dializzate. “La nostra Costituzione”, ricorda il presidente Aned Giuseppe Vanacore, “tutela il diritto alla salute, quindi tutti i malati hanno diritto a esser curati. Ora cominciamo a intravedere la possibilità di realizzare questo obiettivo, grazie anche al lavoro di sensibilizzazione fatto finora. In questo senso è importantissimo unirsi, perché più voci unite diventano un megafono più grande. Ed è importante anche l’incontro a livello regionale perché significa poter avviare dei percorsi per arrivare a protocolli diagnostico terapeutici individualizzati”.

“La rete rappresenta un modo utile di affrontare il confronto con le istituzioni, come ha dimostrato anche negli anni passati l’esperienza politica nella lotta all’HIV. Sul piano di azione politica”, conclude Sandro Mattioli , presidente PLUS, “aver raggruppato un cartello di associazioni ha avuto un peso decisivo, inclusa la presa di posizione della Lorenzin di annunciare una programmazione sanitaria che può contare su 1,5 miliardi di euro in 3 anni e che consentirà di rivedere i limiti oggi messi da Aifa”.

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