Parla Anita, la ragazza trans di Bari cacciata dal datore di lavoro e risarcita

Ha deciso di metterci la faccia, Anita, perché non ha più paura.

ragazza trans
2 min. di lettura

La ragazza trans che qualche giorno fa ha ottenuto un risarcimento per essere stata licenziata e offesa dal proprio datore di lavoro, ha deciso di metterci la faccia. A Bari Today, ha voluto raccontare la sua storia. Si chiama Anita, ha 23 anni e vive a Bitonto. Lavorava in nero come lavapiatti in una sala ricevimenti, da oltre un anno. Quando si è messa lo smalto rosa sulle unghie, sono iniziate le offese, gli insulti e le spinte. Con seguente licenziamento.

Dopo qualche mese di incontri, il datore di lavoro ha preferito non andare in tribunale (la ragazza lavorava in nero), ma patteggiare. Una piccola rivincita legale, come ha detto Anita. Alla fine, ha deciso di dire il suo vero nome, di mostrarsi, per raccontare quanto successo. E’ convinta che possa aiutare molte persone come lei. 

Ciò che è accaduto, purtroppo, non è fantasia. È la realtà. La realtà è che mi chiamo Anita e oggi voglio “metterci la faccia”. Oggi ho deciso di espormi. Oggi non ho più paura.

Poche e semplici parole, ma che hanno un grande effetto. Un aiuto verso chi sta soffrendo per una situazione simile alla sua, ma anche affinché la società prenda piena consapevolezza. E che l’omofo-transfobia, a volte, paga. 

Com’è cambiata la vita di Anita, la ragazza trans risarcita a Bari

A Bari Today, Anita ha spiegato che ora è alla ricerca di un nuovo lavoro, perché non è semplice per una ragazza trans ottenere un posto di lavoro, magari con un vero contratto. Alla sala ricevimenti aveva iniziato a lavorare nel novembre del 2017. Tutti i suoi colleghi sapevano che era una MtF, e lei stessa mostrava ai colleghi i cambiamenti del suo corpo con le foto che si scattava periodicamente. Non aveva mai ricevuto offese e non era stata vittima di episodi di discriminazione.

Questa situazione di normalità è finita a dicembre del 2018. Aveva messo uno smalto, che comunque non si vedeva, indossando i guanti in gomma per lavate le stoviglie. Ma senza un motivo, alcuni colleghi hanno iniziato con gli insulti.

Sono stata insultata, mi hanno detto di tutto: “Ti devi nascondere”. “Se eri normale non succedeva tutto questo casino“. “Questa sta diventando la sala dei ricch*oni”. “Sei venuto qui da ragazzo e devi uscire da ragazzo“.

I due colleghi, spiega sempre Anita:

con cui comunque non c’erano mai stati problemi di questo tipo.

E il titolare, dopo quanto successo, non l’ha creduta. Anzi, l’ha licenziata. 

Lì con me c’era anche una mia amica, lavoravamo insieme e stavamo sempre insieme ma da quando sono cominciati gli screzi si è allontanata, non voleva avere problemi per non perdere il lavoro.

Ma la lotta non è ancora finita

Per Anita però non è ancora finita. Se la battaglia legale con il suo ex datore si è conclusa con un patteggiamento, dovrà pensare se intentare causa ai due suoi ex colleghi, i primi a iniziare con gli insulti.

Decisiva, pre Anita, è stata la voglia di reagire:

All’inizio avevo paura del giudizio della gente, del clamore, anche sui social. E invece ho visto che molta gente, grazie a Dio, è con me. Che una buona parte della società ha capito. E allora ho pensato: sono loro che si devono vergognare, non io. E’ stato un gesto fatto anche per dare coraggio ad altre persone che si trovano in questa situazione, per dire: denunciate, non subite.

Un gesto di coraggio, come spiega, per far capire al mondo T e a tutta la comunità che non si è soli. 

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