“Ho cinque anni quando mi rinchiudo in una vaga felicità. Sono grato per tutto l’amore. Ne do più di quanto ne ricevo. Posso essere egoista. Mi masturbo un sacco. Non tocco nessun uomo. Leggo libri. Amo tantissimo mio padre. Sono un omosessuale.”
È da quando è un bambino cicciottello che ha paura di scivoli, altalene, cornamuse e fisarmoniche, e che finge di essere un’americana vestendo per gioco gli abiti della madre, cosa per cui tutti i compagni lo prendono in giro, che sa di essere gay, ma a ventinove anni non ha ancora nemmeno mai sfiorato un uomo. Soprattutto, non ne ha mai parlato con la madre. Non si è mai confidato, non le ha mai messo il cuore fra le mani. Lei non gli ha mai chiesto di farlo.
Quando lei muore, l’11 luglio del 2000, a cinque anni dal loro ultimo incontro ed esattamente undici prima che anche il padre si senta male e nell’arco di pochi minuti il suo encefalogramma sia irrimediabilmente piatto, perde l’ultima occasione per farlo di persona, a voce.
Ma è uno scrittore. E allora fa quello che sa fare. Scrive. Mette nero su bianco le parole che non ha mai saputo, potuto, voluto dire, le parole che forse non c’era nemmeno bisogno di dire, le parole che la destinataria non ha sentito né sentirà mai.
“I’m a homosexual, mum.”
Nato il 18 gennaio 1971 a Nakuru e morto due giorni fa a Nairobi, la capitale del suo Kenya, Binyavanga Wainaina fece coming out (e non outing, come qualcuno ha avuto il coraggio e l’ignoranza di scrivere…) così, di fatto con una sorta di capitolo inedito del suo sensazionale memoir, Un giorno scriverò di questo posto, quando, nel 2014, nel momento in cui in Uganda – da dove veniva la mamma – e in Nigeria vennero approvate leggi restrittive in tema di omosessualità: per questo lui, attivista, uomo, a detta di chi lo ha conosciuto, d’immenso talento, dolcissimo e intelligente, fondatore della rivista Kwani e autore di articoli attuali più che mai, che sradicano i luoghi comuni sull’Africa, fu incluso quello stesso anno nella lista del Time Magazine dei 40 uomini più influenti del pianeta.
Di lui ci restano le sue parole, il suo esempio, il suo messaggio: “Io rimango lì a guardare quelli che rispondono decisi al richiamo delle parole. Posso solo seguirli.”
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