La legge Cirinnà, oltre a istituire le unioni civili per le coppie omosessuali, regole anche le convivenze di fatto, riconoscendo solo quelle coppie che si iscriveranno al registro dell’anagrafe. Per la legge Cirinnà sono necessarie in particolare due condizioni essenziali: stessa residenza e stato civile libero. Un’ordinanza del 31 maggio del Tribunale di Milano ha messo in luce, proprio a proposito di queste due condizioni, il potenziale discriminatorio della legge.
Lo status di convivente “di fatto” – dice l’ordinanza di Milano – deve essere riconosciuto anche se si ha una residenza diversa dal partner o se si è in attesa di divorzio, circostanze che nella legge Cirinnà portano invece all’impossibilità di accedere a tale riconoscimento. Il giudice del Tribunale di Milano Giuseppe Buffone, responsabile dell’ordinanza in questione, afferma che esiste una “mera convivenza” da tutelare anche al di fuori dei casi previsti dalla Cirinnà.
Il timore che la legge sulle unioni civili entrata in vigore proprio ieri possa avere risvolti negativi per coppie fino a oggi tutelate in realtà non è nuovo, sta suscitando già da tempo un intenso dibattito, dentro e fuori dal Parlamento. Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale dei minori di Bologna e autore di un testo monografico sulla legge da ieri in vigore, ha dichiarato: “L’ordinanza del giudice di Milano è giuridicamente sacrosanta. Applicare in modo restrittivo la norma, per quanto riguarda le convivenze di fatto, significherebbe escludere la metà delle situazioni esistenti, fino a oggi tutelate”. Infatti a partire dagli anni ’80, anche se non c’era alcuna norma ad hoc, i giudici hanno assunto l’abitudine di riconoscere alle coppie eterosessuali conviventi tutele del tutto simili a quelle delle coppie sposate. Sulla stessa linea si attesta Cinzia Calabrese, avvocato e presidente dell’Aiaf Lombardia: “la convivenza è una situazione di fatto, e c’è da chiedersi se fosse necessario disciplinarla con una norma”.
Per come stanno ora le cose i due requisiti in questione effettivamente sono vincolanti e la faccenda parrebbe assai rilevante. Il Comune di Milano, che per primo ha stampato i moduli per l’iscrizione al registro dell’anagrafe, comunica che per accedere a tale procedura occorre “coabitare ed essere sul medesimo stato di famiglia anagrafico” ed essere civilmente “liberi”. L’allarme del tribunale di Milano pare dunque fondato.
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