‘Sono diverso, non sbagliato’, il potentissimo tema di un dodicenne contro il bullismo omofobo a scuola

L'omofobia scolastica al centro di uno straordinario tema di un dodicenne deriso dai compagni perché 'diverso'.

omofobia bullismo scuola
3 min. di lettura

E’ LaRepubblica di oggi, domenica 4 giugno, a pubblicare un potente tema scolastico di un ragazzino di 12 anni, Ivan il nome di fantasia, che ha raccontato la propria storia segnata dalla violenza omofoba direttamente dai banchi di scuola.

Perché i bambini e gli adolescenti sanno essere crudeli, fisicamente e a parole, e non è facile reagire, riuscire a resistere.

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Inventa un racconto in cui sono presenti i seguenti personaggi: una vittima, un gruppo di ragazzi prepotenti, degli spettatori, un adulto. Soffermati sui dialoghi e sugli stati d’animo dei diversi personaggi. Alla base del racconto può essere un fatto realmente accaduto o un episodio verosimile. Scegli un finale che preveda uno scioglimento positivo o una soluzione negativa“. Questa la traccia assegnata dalla professoressa alla propria classe, con Ivan che ha semplicemente raccontato le proprie esperienze personali, fatte di botte, bullismo e di insulti, solo perché poco incline agli sport, ai giochi ‘da maschi’. Letto in classe ed ora pubblicato su un quotidiano nazionale (‘voglio aiutare chi ha passato brutti momenti come me‘), questo tema che oscilla tra realtà e finzione (voto 10 al contenuto, 8/9 alla forma) ha suscitato reazioni contrastanti, con alcuni compagni che hanno chiesto scusa al 12enne a lungo deriso ed altri che hanno preferito tacere. Nascondendosi dietro la maschera dell’intolleranza.

Alcune persone all’apparenza stanno bene, ma muoiono dentro. Io sono Ivan e ho dodici anni. Vivo in una cittadina del Centro Italia, in una famiglia modesta, ma senza amici. Fin da quando ero all’asilo non ho mai amato i giochi da maschio: calcio, carte, giochi elettronici… A me non sono mai interessati. Preferivo stare con le femmine, più interessanti, a mio parere.

Ero diverso, non sbagliato. Venivo preso in giro, deriso davanti a tutti, perfino i miei amici partecipavano, per poi chiedere pateticamente scusa. “Mamma, ma perché mi trattano così? Cos’ho che non va?!?!”. “Tranquillo, amore: sono solo invidiosi!“. Io non credo proprio.

Poi arrivo alle elementari, un’occasione di riscatto, lasciando il passato alle spalle. La prima cosa che i compagni notano di me è la mia voce, acuta, squillante, diversa da quella degli altri maschi. Conoscevo qualcuno, ma erano proprio quelli che mi guardavano con più disprezzo. Ero solo, di nuovo.

Successivamente lego con due bambine, diventano le mie migliori amiche. Nonostante il nostro profondo legame cerco di stare lontano da tutte e due, temevo che se mi avessero conosciuto meglio se ne sarebbero andate. Le offese si ripetono, non erano pesanti, ma era il modo in cui le dicevano che mi feriva.

Passano quattro anni e arrivo in quinta. Le prese in giro gradualmente finiscono e riesco finalmente ad entrare nel “mondo dei maschi”. Francesco, Flavio, Domenico, Roberto: eravamo inseparabili. Con l’arrivo in questo nuovo “mondo” o semplicemente un “diverso punto di vista” (come diceva papà) alcune cose cambiano in me. Inizio a seguire la moda, carte e gameboy sparsi per tutta la camera. Ero felice, finalmente.

Nella classe però c’erano alcuni ragazzi più emarginati, capivo come si sentivano e cercavo di stare vicino anche a loro: Alfredo, Saverio, Livio e Mario. Purtroppo questo bellissimo anno finisce.

Iniziano le medie. C’erano tutti: Livio, Domenico ecc… Entro a testa alta, fiero dell’anno precedente. Ma magari avrei dovuto abbassarla. Ginnastica, il mio punto debole. Non essendo interessato agli sport non ne avevo mai praticato uno. “Tutti alla sbarra! Flessioni!” urla il prof di ginnastica. Fiero di me mi getto sulla sbarra, faccio più flessioni che posso. Ma poi mi fermo. Tutti mi guardano. Uno dei compagni rompe il silenzio: “Ma cosa sei? Una femminuccia?!? “. “Già: scommetto che non sai nemmeno saltare!“.

Tutti ridono, mi indicano come se fossi un fenomeno da baraccone. Ero a pezzi. “Omosessuale” “Trans” , ormai era così che mi chiamavano. Inizio con l’autolesionismo, una droga potentissima di cui non puoi più fare a meno. Mi chiedo come sarebbe bere quel bicchiere di candeggina sopra la lavatrice.

Un giorno vado al mare con Domenico e Francesco. Vedo in lontananza Alfredo, Saverio e Livio con cui avevo chiuso i rapporti. Si avvicinano e mi spingono a terra, sento un calcio, poi un altro ancora, iniziano a picchiarmi. Vedo Francesco e Domenico dietro di me, pietrificati, non reagiscono semplicemente perché non vogliono vedere. Mi lasciano a terra senza nemmeno la forza di piangere. Torno a casa e mi chiudo in camera.
Accendo il telefono “Cento nuovi messaggi dal gruppo antIvan“. Il gruppo l’aveva creato Alfredo, c’era tutta la scuola. Leggo solo insulti, nessuno mi difende. “Ivan” chissà se ricorderanno questo nome, una volta che non ci sarò più. Apro la finestra e mi lascio andare. È finita, finalmente in pace. Sono diverso, non sbagliato‘.

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Alessio 7.6.17 - 17:06

Il compagno di banco, a quell'età, è molto spesso esattamente quello: tutto il tuo mondo. Sono felice per il tuo "cervello d'adulto" sin dalla più tenera età, ma il tuo "svegliaaa" è davvero fuori luogo e un po' ridicolo.

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Giovanni Di Colere 4.6.17 - 12:49

Io ho avuto la fortuna di disporre di un cervello già adulto fin dal primo momento in cui le sinapsi hanno iniziato a funzionare. Perciò per me i compagni di scuola di questo tipo erano e sono degli idioti dei bambocci degli omosessuali repressi e via dicendo. Lo erano fin da quando avevo 6 anni figuriamoci se mi passava per la mente di suicidarmi per causa loro. Semmai che si buttassero loro dalla finestra! I genitori non mi accettavano? Al diavolo anche loro. Sveglia!!! Il compagno di banco non è il mondo!

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