Donato e Gustavo e il matrimonio che per l’Italia non esiste

Peruviano uno, romano l'altro, sposati da agosto, ma stare insieme sembra impossibile.

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Donato e Gustavo, rispettivamente italiano e peruviano, sono una giovane coppia la cui storia d’amore è messa a dura prova dalla mancanza di una legge che, in Italia, riconosca i matrimoni egualitari celebrati all’estero.
Rispettivamente di 19 e 22 anni, Donato e Gustavo si sono conosciuti in chat nel 2012. Tra loro è scattato subito qualcosa che nel giro di qualche settimane è diventato un sentimento forte, al punto che i due ragazzi decidono di incontrarsi, nonostante la distanza, per conoscersi finalmente di persona. Gustavo mette da parte un po’ di risparmi e programma il suo viaggio a Roma per passare del tempo con la persona di cui si è innamorato.
Un incontro che si sarebbe rivelato più difficile del previsto: l’ambasciata italiana, secondo il racconto di Donato, prevede tempi di attesa che vano da uno a tre mesi per concedere il visto d’ingresso. La prima richiesta di Gustavo parte a giugno del 2013, ma a settembre ancora nessuna risposta. Il ragazzo tenta così di chiedere un permesso per motivi di studio, per imparare l’italiano, ma il visto gli viene comunque negato perché la documentazione presentata (la lettera della madre di Donato in cui dichiara di farsi carico della sussistenza del ragazzo) non viene giudicata sufficiente a dimostrare la capacità di mantenersi sul suolo italiano. Il secondo diniego di un visto e la lunga attesa convincono Donato a partire per il Perù. A questo punto, lasciamo che sia la lettera che il ragazzo ha inviato a Gay.it a raccontarvi il seguito di questa storia, l’ennesima testimonianza di come non sia più rimandabile una legge che riconosca le unioni tra persone dello stesso sesso al pari di quelle eterosessuali.

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“Dopo queste due grandi delusioni, riuscii a convincere i miei genitori a permettermi di andare io in Perù per, finalmente, conoscerlo di persona. A dicembre, arrivai a Lima, dove passammo alcune bellissime settimane e decidemmo di continuare con questa relazione a distanza perché ne valeva la pena; ci saremmo poi rivisti ad aprile, quando io avrei riavuto le vacanze dalla scuola.
Ad aprile del 2014, passammo varie altre settimane insieme, ma a maggio ritornai in Italia perché si avvicinavano gli esami di maturità; prima della mia partenza, però, sempre più convinto del nostro amore, gli chiesi di sposarmi, quando ce ne fosse stata la possibilità.
Nel frattempo, lui fece di nuovo richiesta all’ambasciata d’Italia perché gli dessero un appuntamento per sollecitare un visto. A giugno, presentò nuovamente tutte le carte, stavolta per un visto di turismo, nuovamente negato con la sola giustificazione che “non si poteva stabilire l’intenzione del richiedente di lasciare gli Stati membri”.
Io, ormai già diplomato, venni a conoscenza che il tribunale di Grosseto aveva riconosciuto il matrimonio tra un italiano e un cittadino straniero, permettendo a quest’ultimo di richiedere il permesso di soggiorno in Italia. Motivato anche da questo, decidemmo di sposarci in Argentina, Paese in cui anche due cittadini stranieri possono sposarsi.
Ci sposammo ad agosto del 2014 e io feci, a malincuore, ritorno in Italia, con l’intenzione di richiedere per lui il permesso di soggiorno. Mi dissero che il richiedente doveva essere già presente sul territorio italiano perché fosse possibile.

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Per altri quattro interminabili mesi, restammo separati, risparmiando ogni centesimo che ci fosse possibile, visto che lui non abitava neanche a Lima (città in cui si trova l’ambasciata).
A dicembre, ci siamo messi nelle mani di un avvocato che ha già conoscenze in materia e che, prima di noi, è passato per una storia simile, visto che è sposato con un cittadino sudafricano. Il nostro avvocato si è messo, per noi, in contatto con l’ambasciata spiegando come anche a suo marito avessero concesso una carta di soggiorno per essere familiare di un cittadino europeo. Il responsabile dei visti dell’ambasciata, disse che avrebbe chiesto istruzioni al Ministero degli Interni, vista “la novità giuridica in materia”. Il Ministero disse che Gustavo avrebbe dovuto chiedere un visto di turismo per l’ingresso in Italia (non di ricongiungimento familiare, come sarebbe stato in qualsiasi altro Paese, come Francia o Spagna) per fare poi richiesta alla questura della mia città di una carta di soggiorno.
Purtroppo, l’essere sposato con un europeo in Italia non ti dà nessun vantaggio e, quindi, l’attesa per fare la richiesta restava, per lui, dai 30 giorni ai 3 mesi. Chiedemmo al responsabile visti se fosse possibile anticipare tale appuntamento, visto che ci tenevamo davvero tanto a passare il Natale in Italia con la mia famiglia, aggiungendo, inoltre, che le mie condizioni di salute erano state preoccupanti negli ultimi mesi, avendo mostrato dei certificati medici in cui dimostravo di soffrire di attacchi d’ansia e di panico, accompagnati da forti tachicardie, di depressione, e dando prova, in più, dei medicinali che stavo prendendo per tenere a bada la situazione. Al funzionario, né a nessun altro in ambasciata, i suddetti non sembrarono motivi sufficienti per anticipare un appuntamento (anche se in precedenza era stato lo stesso funzionario a dirci che gli appuntamenti potevano essere anticipati solo per motivi di salute; ma probabilmente dimenticò di specificare che si riferiva al cancro o a qualche altra malattia in fase terminale).
Dovetti prendere la decisione di partire per il Perù per passare il Natale con mio marito e stare con lui fino al giorno dell’appuntamento a fine gennaio, lasciando, però, la mia famiglia, che si dimostrò comprensiva e disse che avrebbe aspettato con ansia il giorno in cui ci fossero andati a prendere entrambi all’aeroporto.

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A gennaio, arrivò il giorno dell’appuntamento e andammo entrambi in ambasciata. Per la prima volta, Gustavo fu trattato da essere umano e non come un animale, come mi aveva sempre raccontato di essere stato trattato in ambasciata (e come ho potuto vedere con i miei occhi che trattano i “comuni peruviani” che non hanno nessun rapporto con l’Italia).
Presentate tutte le carte, restammo in attesa della data che ci diedero per andare a ritirare il risultato, ma ogni volta, per tre volte, ci dissero di ritornare la settimana successiva, visto che “si trattava di un caso particolare che stavano esaminando in Italia”.
Il 16/02/2015 andammo a ritirare il risultato: NUOVAMENTE NEGATIVO, in quanto “le intenzioni del richiedente non erano attendibili”, nonostante la stessa Cassazione dice che il coniuge straniero dello stesso sesso deve essere considerato come familiare del cittadino italiano, e come anche indicato a dicembre dal Ministero. Senza ulteriori spiegazioni, senza che il solito funzionario ci guardasse per lo meno in faccia e ci spiegasse che cos’era successo, uscimmo dall’ambasciata con il mondo che ci era appena crollato addosso.
Siamo entrambi ancora a Lima, aspettando che il nostro avvocato in Italia faccia ricorso al TAR di Roma affinché riveda la decisione dell’ambasciata. Nel frattempo, il nostro avvocato ha comunque cercato di mettersi in contatto con il funzionario, chiedendo spiegazioni sull’accaduto, ma quest’ultimo non si dimostra disponibile a spiegare quanto successo, dicendo che egli è tenuto a dare questo tipo di informazioni solo agli avvocati della difesa del TAR, per difendere l’ambasciata.
In tutto questo, siamo ancora alla deriva. In tutto questo, non so ancora quando arriverà il giorno in cui potrò avere al mio fianco TUTTA la mia famiglia. Non so quando arriverà il giorno in cui non sarò piú costretto a scegliere all’abbraccio di chi rinunciare ogni mattina; in cui non sarò più costretto a dover vivere tra due continenti, a dover far soffrire una delle due parti della mia famiglia perché non posso stare in due Paesi allo stesso tempo.
Sono stanco di dover scegliere, sono stanco di dover rinunciare a un pezzo del mio cuore ogni volta che salgo su un aereo, soltanto perché il mio Paese non riconosce il mio matrimonio. Spero almeno che il TAR sia un ente giusto e riconosca a mio marito il diritto di vivere con me e la mia famiglia in Italia. Nel mentre, continuiamo ad aspettare; forse sarà questa la volta buona. O forse no. Forse presto rivedrò la mia famiglia. O forse per farlo dovrò continuare a rinunciare a mio marito. Forse. Chissà”.

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