Edoardo Leo è il classico tipo che piace. Che piace a tutti. E’ apprezzato dagli uomini, dalle donne, dai bambini e persino dagli addetti ai lavori. E non è da tutti esser così trasversali. Quando lo incontro siamo alla festa di compleanno di Radio Deejay, a Roma. Intorno a lui: il mondo. Attori, cantanti, speaker, giornalisti, telecamere e fotografi. Peccato che l’attore del momento, star indiscussa nel film “Perfetti Sconosciuti” di Paolo Genovese, non abbia occhi per nessuno, se non per sua moglie Laura e per quel bicchiere di vino rosso che lo tiene lontano dall’imbarazzo generale. E’ timido. Non se la tira. E’ consapevole di esser bravo, ma non lo da a vedere. E’ bello, ma non troppo. O almeno è tanto bello, quanto bravo, a dar l’idea di non sentirsi poi così bello. E’ amato dal pubblico gay, ma lui questa dice di non saperla. O almeno così dice. “Mia moglie, ogni tanto, mi riportava qualche commento carino da parte dei suoi amici gay, ma finiva sempre lì. Non pensavo di potermi sentire addirittura un’icona” racconta il friendly Edoardo Leo e aggiunge: “nell’ultimo film di Genovese, il mio personaggio è velatamente omofobo. Molti mi hanno odiato per questo ruolo, segno che forse ho fatto davvero un buon lavoro”. Davanti a due bicchieri di vino rosso e a qualche occhio indiscreto, l’istrionico Leo mi parla del suo rapporto con la “scatola nera”, di diritti civili, di come si comporterebbe realmente davanti all’omosessualità di un figlio, e parla, come forse non ha fatto mai, delle sue tre vite: quella privata, quella pubblica e quella segreta.
Perfetti Sconosciuti sta sbancando al box office. Sei al corrente che a fine proiezione molte coppie iniziano a sfasciarsi?
(ride, ndr) No, non ne sono al corrente. So che è un film che ha creato molte discussioni. Il cinema, infondo, serve a questo. A fare una fotografia del reale per farci vedere chi siamo. O, meglio ancora, chi sono alcuni che ci sono vicini.
Qual è il segreto di tutto questo successo: il cast o la sceneggiatura contemporanea?
Non credo che ci sia un segreto. Grande merito a Paolo Genovese e agli sceneggiatori per aver individuato, sviscerato e analizzato in maniera divertente e spietata, un argomento che riguarda tutti noi. Sicuramente l’affiatamento del cast, essendoci dentro diversi amici, ha contribuito a fare di quella cena cinematografica, una cena che sembra più che vera.
Che rapporto hai con quella scatola nera d’ultima generazione?
La uso, come tutti. Mi serve, mi facilita la vita, ci lavoro. Non ne sono ossessionato. So farne a meno, non ne sono schiavo. Continuo, comunque, a preferire le lunghe giornate di scrittura sul mio pc portatile.
“Ognuno ha tre vite: una pubblica, una privata ed una segreta”. Pensi davvero che possano esistere tre vite in una?
Se lo ha detto Gabriel Garcia Marquez, chi sono io per confutarlo? Penso di si, ma penso che questo non dipenda dal cellulare. E’ la natura umana. Credo che ogni persona abbia bisogno di una rappresentazione di se stessa in pubblico, di una dimensione privata e di coltivare una parte più intima, più segreta. Alla fine l’importante è quanta distanza c’è tra le tre dimensioni, non trovi?
Nel film di Genovese non prendi molto bene l’omosessualità del tuo amico. Ti è mai capitata una situazione analoga, nella vita di tutti i giorni?
Nella vita di tutti i giorni non mi è mai successo, ma è interessante lavorare su personaggi in crisi, con contraddizioni e pregiudizi latenti. Perché ti costringe a lavorare su te stesso. In molti mi hanno detestato per questo ruolo. Segno che forse ho fatto davvero un buon lavoro, in profondità. Nel film di Genovese c’è un doppio movimento che riguarda il mio personaggio. L’aver scoperto casualmente, dopo trent’anni di amicizia, che il suo miglior amico è gay, senza che lui glielo lo abbia mai detto, provoca in Cosimo due reazioni: da un parte il dispiacere della menzogna dell’amico, dall’altra un‘istintiva e detestabile deriva omofoba generata dal suo comportamento poco sincero.
Piaci molto al pubblico gay. Ti sei mai chiesto come mai?
(ride, ndr) Lo scopro ora. Non so perché onestamente. Indagherò.
Piuttosto, hai mai ricevuto avances da un uomo?
Si è successo.
E come hai reagito?
Senza particolari reazioni. Nello stesso modo in cui avrei reagito davanti ad una donna che non mi interessava.
Molti attori non si dichiarano omosessuali per paura di perdere consensi dal pubblico femminile. Leggenda metropolitana o triste realtà?
Non so se il motivo sia solo quello, ma è vero che molti personaggi pubblici, non solo attori, non abbiano mai dichiarato apertamente la loro omosessualità. Però ti dico una cosa: da una parte la dichiarazione di un personaggio pubblico è utile. Può aiutare ragazzi e ragazze, che magari vivono un disagio solitario, a sentirsi meno soli e a liberarli da certi pregiudizi. Dall’altra credo anche che ognuno abbia il sacrosanto diritto di vivere la propria sessualità senza sentirsi in dovere di sbandierarla e a ridurla ad un comunicato stampa.
Ddl Cirinnà. Tu da che parte stai?
Dall’unica parte in cui si può stare. Non approvarlo era da Paese incivile. Lo abbiamo fatto inscenando, fino alla fine, un misero teatrino durato mesi, che mi sarei risparmiato volentieri. Per quanto riguarda la surrogazione di maternità, e chiamiamola col giusto nome e non con quel denigrante “utero in affitto”, smettiamola di relegare il tutto a superficiali e presuntuose verità nei post, sui social, da parte di tutti noi. Andrebbe fatto davvero un discorso più approfondito, difficile da restituire nelle poche righe di un’intervista.
E se un giorno uno dei tuoi figli ti dicesse: “Papà sono gay?
Sogno un Paese in cui un figlio non abbia né bisogno e né paura di dirlo. Un Paese in cui un genitore sia più preoccupato dell’educazione e della felicità dei suoi figli che dei loro gusti sessuali.
Wikipedia: Edoardo Leo attore, sceneggiatore e regista italiano. Tu come ti definiresti?
Le definizioni non fanno per me. Alla fine sono un attore che dirige dei film.
In passato hai dichiarato: “Mi ricordo quelli che mi scartavano, ma anche quelli che mi massacravano”. Le delusioni passate si dimenticano, una volta raggiunto il successo, o restano come cicatrici indelebili?
Quando le cose vanno meglio le delusioni passate sfumano, ma non si dimenticano. Però se cambi prospettiva e inizi a pensare che senza quelle cicatrici non avresti mai fatto il percorso che hai fatto, ripensi a tutto e ti chiedi: “Ma la gavetta non finisce mai?”
E cosa risponderesti?
No, fortunatamente.
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Che grande ipocrita Edoardo Leo. Quando il giornalista gli ha chiesto come reagirebbe se suo figlio gli dicesse di essere gay l'ha buttata sulla polemica sociale per non rispondere. La domanda è stata posta per farci conoscere, casomai, la sua più intima reazione e non per parlare di questo nostro paese così sporco, brutto e cattivo. Questo sta a dimostrare che anche i più grandi sostenitori (tanto radical chic) della comunità gay, sanno dentro di loro che essere gay non è uno sviluppo regolare dell'affettività di un uomo.