Esibizionismo o cultura? Storia del Pride e dei suoi colori

Perché le parate per l'orgoglio GLBT sono così vistose e appariscenti? In molti pensano sia solo voglia di farsi notare. Ma, se si vanno a cercare le radici, si scopre che...

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Da qualche anno anche in Italia l’inizio dell’estate segna anche l’inizio della stagione delle parate gay. Ormai anche i più distratti dovrebbero sapere che queste parate celebrano l’anniversario della rivolta dei clienti del locale Stonewall Inn di New York il 28 giugno 1969, che ribellandosi ai soprusi delle autorità segnarono l’inizio del moderno movimento GLBT. Quello che invece sanno ancora in pochi sono le ragioni per cui l’orgoglio gay si celebra con colorati cortei animati da carri piuttosto che con manifestazioni di altro tipo. In molti sono ancora tentati di pensare che si tratta di una scelta dettata dall’esibizionismo, che porta più danni d’immagine che benefici concreti, ignorando che questa forma di manifestazione ha delle radici culturali di tutto rispetto. 

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Torniamo al 1969: dopo la rivolta di Stonewall si costituirono le prime due associazioni del nuovo movimento GLBT, il Gay Liberation Front e la Gay Activists Alliance, che si sentirono in dovere di celebrare l’anniversario della rivolta con dei cortei, che si tennero nel 1970 sia a New York (col nome di Gay Liberation Day) che a San Francisco (come Gay Freedom Day). La definizione Gay Pride March (marcia dell’orgoglio gay) arrivò solo negli anni 80, mentre la giornata del 28 giugno viene indicata come Christopher Street Day (dal nome della via dello Stonewall Inn). Questi cortei diventarono di anno in anno più numerosi e colorati, diventando al tempo stesso un momento di affermazione e una grande festa, che sfidava inutili convenzioni e ipocriti perbenismi in tutto il mondo. 

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Tuttavia la scelta della parata con costumi, carri e balli non era una novità. Torniamo negli USA, dove parate di questo tipo erano abbastanza consuete nelle maggiori città: da quella per l’Indipendence Day (4 luglio) a quella per il Labour Day (la prima domenica di settembre), senza contare le varie parate etniche (da quella del Saint Patrick’s Day per gli irlandesi a quella del West Indian-American Day per i pellerossa). Tuttavia il modello principale su cui si inserirono le parate gay fu la coloratissima e scatenatissima parata del Puerto Rican Day di New York. Dal 1958, infatti, si celebra la parata della più grande comunità latina presente nella città, che ovviamente coinvolge anche tutte le altre etnie sudamericane. La comunità GLBT di New York, che era composta in buona parte da sudamericani, non poteva fare a meno di prendere questo modello come esempio principale. La parata del Puerto Rican Day, a sua volta, si richiamava ai carnevali sudamericani, per sottolineare un momento di forte rivendicazione etnica e culturale, con sfilate di carri addobbati e balli latini in strada. In questo senso il Gay Pride statunitense si inseriva in maniera abbastanza naturale in un contesto in cui ogni minoranza aveva diritto a manifestare la propria cultura e la propria identità in maniera chiassosa, e in cui le parate facevano parte della cultura popolare. 

?rf4Quando il Gay Pride iniziò a comparire in Europa (nel 1992 a Londra) e in particolare in Italia (nel 1994 a Roma), colse una cittadinanza totalmente impreparata a questo tipo di manifestazione. Nel nostro paese i cortei erano sempre stati di natura religiosa o di protesta politica. Le sfilate di carnevale, da noi, rappresentano un momento di puro svago, mentre in Italia non c’era la minima nozione di rivendicazione etnica, visto che nel nostro paese le comunità straniere sono diventate una realtà solo da pochi anni. Risultato: all’inizio la parata del Gay Pride è stata considerata un’inutile buffonata anche da buona parte della cittadinanza GLBT. Fortunatamente la situazione sta cambiando, e di anno in anno sono sempre di più le persone che, anche in Italia, partecipano con entusiasmo alla giornata dell’orgoglio GLBT. Segno evidente che anche da noi le persone GLBT non vivono più la loro condizione in maniera individualistica, ma iniziano a sentirsi parte di una vera e propria comunità.

di Valeriano Elfodiluce

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