FAQ del Ddl Cirinnà: ecco le prime risposte alle vostre domande

Prima batteria di risposte del nostro giurista Angelo Schillaci alle domande da voi poste

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7 min. di lettura

Il DDL Cirinnà desta moltissima curiosità tra i gay e le lesbiche italiane: questo è certo. Un dato? Il nostro quiz di ieri sulle unioni civili, per valutare il proprio grado di conoscenza del testo di legge approvato al Senato, è stato fatto da 21.000 persone e le risposte sono incoraggianti: gli errori più frequenti sono stati sulla domanda che riguardava la cerimonia (il 53% di voi ha detto che non sarebbe prevista, mentre invece è possibile farla alla presenza del Sindaco o di un suo delegato, con due testimoni), il congedo “matrimoniale” (il 24% ha sostenuto che non c’è, mentre c’è ed è retribuito fino a 15 giorni, come per il matrimonio), l’eredità (il 34% crede che i parenti stretti mantengano diritto alla cosidetta “quota legittima”, cosa non vera) e il fatto che chi non si unisce civilmente non avrà tutele (falso, perché il titolo II del ddl parla proprio delle coppie di fatto non sposate né unite civilmente, siano esse eterosessuali od omosessuali: evidentemente il 37% dei nostri lettori non conoscono questa parte della legge). Abbiamo quindi chiesto al nostro giurista di fiducia, Angelo Schillaci, dell’Università La Sapienza di Roma, di rispondere alle vostre domande.

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1. Sarà possibile modificare la legge per via giudiziaria?

I giudici, in un regime di separazione dei poteri, hanno il compito di interpretare la legge: possono meglio precisarne il contenuto, ma non possono modificarlo. Il discorso è diverso per ciò che riguarda il ruolo della Corte costituzionale, che ben potrebbe essere chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge. Ad esempio, la Corte potrebbe essere chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcuni profili del trattamento differenziato rispetto al matrimonio: ove ne dichiarasse l’illegittimità costituzionale, ciò avrebbe l’effetto di estendere alle parti dell’unione civile tutele previste per il matrimonio, così modificando l’istituto.

2. Sarà possibile modificare la legge per via referendaria?

Il referendum abrogativo può essere richiesto alle condizioni previste dall’art. 75 della Costituzione (500.000 firme, richiesta di almeno cinque consigli regionali); la richiesta può avere ad oggetto l’intera legge o parti di essa. Per la validità del referendum è necessaria la partecipazione al voto del 50% più uno degli aventi diritti, e l’abrogazione si produce se i SI superano i NO. Sull’ammissibilità della richiesta di referendum si pronuncia la Corte costituzionale. A questo proposito, anche se è difficile fare previsioni sugli orientamenti della Corte, va rilevato che essa, in passato, ha dichiarato l’inammissibilità di quesiti referendari aventi ad oggetto intere leggi relative a diritti fondamentali (accadde ad esempio per il referendum integralmente abrogativo della legge 40/2004, relativa alla procreazione medicalmente assistita). Il diritto della coppia omosessuale a “vivere liberamente una condizione di coppia” è stato riconosciuto come diritto fondamentale, ai sensi dell’art. 2 Cost., dalla sentenza n. 138/2010 della Corte costituzionale: è innegabile che l’integrale abrogazione referendaria della legge avrebbe l’effetto di privare le coppie omosessuali del suddetto diritto fondamentale.

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3. I partner dell’unione civile potranno beneficiare degli assegni familiari e del congedo matrimoniale?

Sì. Si applica, in questo caso, il comma 20 dell’articolo unico della legge, il quale prevede che “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

4. In caso di morte di uno dei partner dell’unione civile, il superstite avrà diritto alla reversibilità della pensione o alle indennità e trattamenti di fine rapporto spettanti al partner defunto?

Sì. Per effetto del comma 20 dell’articolo unico (v. risposta precedente), si applicherà alle parti dell’unione civile l’art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, che disciplina appunto il diritto alla reversibilità della pensione. Per effetto del comma 17 dell’articolo unico, sono dovute alla parte dell’unione civile le indennità di cui agli articoli 2118 e 2120 del codice civile: si tratta, in particolare, della retribuzione ancora dovuta e del trattamento di fine rapporto.

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5. Com’è disciplinata la successione?

Il comma 21 dell’articolo unico prevede che in tema di diritti successori, alle parti dell’unione civile si applichi la disciplina prevista dal codice civile per i coniugi. In particolare, si applicano gli artt. 463 – 466 (Indegnità a succedere), tutte le norme relative alla successione dei legittimari (ciò significa che il partner superstite ha la stessa posizione del coniuge superstite, in relazione alla cd. “quota di legittima”, nonché tutte le norme del Titolo II (successione legittima) e quelle relative alla cd. collazione dei beni ricevuti in donazione dal defunto, cioè il conferimento dei beni donati ai coeredi (e fatte salve le donazioni di modico valore ricevute dal defunto). Si applica, infine, la disciplina del patto di famiglia (artt. 768 bis e seguenti). Ai partner individualmente si applicherà poi, come a chiunque, la disciplina della successione testamentaria, con i limiti previsti per le persone coniugate.

6. I partner dell’unione civile potranno assumere un cognome comune?

Sì. Il comma 10 dell’articolo unico prevede che, mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile, le parti dell’unione civile possano indicare quale, tra i loro cognomi, sarà il cognome comune della coppia, ma solo per la durata dell’unione. Ciascuna delle parti potrà decidere di anteporre o posporre il cognome comune al proprio.

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7. Quale stato civile avrà la coppia unita civilmente? Cosa ci sarà scritto sui documenti?

Il comma 28 dell’articolo unico prevede che sia il Governo, con proprio decreto legislativo da adottarsi entro sei mesi a riordinare la normativa in materia di stato civile per adeguarla al nuovo istituto dell’unione civile. Il comma 34 prevede che, in attesa di tale decreto legislativo, il Presidente del Consiglio, con proprio decreto da adottarsi su proposta del Ministro dell’Interno, detti la disciplina transitoria per la tenuta dei registri e degli archivi dello stato civile, in relazione al nuovo istituto. In tale sede, con ogni probabilità, sarà precisato anche lo stato civile dei partner uniti civilmente, comprese le modalità della sua indicazione sui documenti: l’ipotesi più lineare, ma si tratta appunto solo di una ipotesi, è che sui documenti venga semplicemente scritto “unito/a civilmente”.

8. Lo straniero potrà unirsi civilmente con il cittadino italiano? E’ necessaria la residenza in Italia?

All’unione civile dello straniero con il cittadino italiano si applica, ai sensi del comma 19 dell’articolo unico, l’art. 116, primo comma, del codice civile. Pertanto, lo straniero (non cittadino dell’UE) potrà unirsi civilmente con il cittadino italiano presentando i documenti previsti da tale articolo, e dunque solamente il nulla osta delle autorità del paese di appartenenza. Non è più richiesto, dopo la sentenza n. 245/11 della Corte costituzionale, il documento attestante la regolarità del soggiorno in Italia. Per contrarre una unione civile, pertanto, lo straniero potrà non essere residente in Italia, e non è necessaria la regolarità del soggiorno (se cittadino extra UE).
Si applicherà inoltre – per effetto del comma 20 dell’articolo unico (v. risposta 3) l’art. 5 della legge sulla cittadinanza, che prevede l’acquisto della cittadinanza per effetto del matrimonio (e, dunque, dell’unione civile), qualora, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero. L’unione civile – oltre a produrre l’acquisto della cittadinanza alle condizioni dette – costituirà titolo per ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari (se lo straniero non è cittadino dell’UE). Si applica infatti, sempre per effetto del comma 20 dell’articolo unico, l’art. 30 del D. Lgs. n. 286/98 (Testo unico immigrazione).

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9. I matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero potranno essere trascritti in Italia come unione civile?

Il comma 28 dell’articolo unico delega il Governo ad adottare, entro sei mesi, un decreto legislativo nel quale dovrà essere prevista l’applicazione della disciplina dell’unione civile alle coppie dello stesso sesso coniugate, o unite civilmente, all’estero. Non si tratta, sul piano formale, di una “trasformazione” del matrimonio estero in unione civile: si prevede soltanto che, una volta trascritto il matrimonio, questo produca in Italia gli stessi effetti di una unione civile tra persone dello stesso sesso. Per la disciplina specifica, comunque, bisognerà attendere la normativa di attuazione che sarà adottata dal Governo.

10 Quali sono le differenze tra unioni civili e convivenze?

L’unione civile è istituto di diritto pubblico riservato alle coppie omosessuali. Ciò vuol dire che essa si caratterizza per un elevato livello di istituzionalizzazione e per una limitata rilevanza della volontà delle parti nella concreta disciplina del rapporto. L’autonomia delle parti si riduce cioè alla scelta di contrarre l’unione civile: una volta contratta, le parti sono soggette alla disciplina prevista dalla legge, e non possono derogarvi. Al contrario, i commi da 36 a 65 dell’articolo unico disciplinano gli effetti di una situazione di fatto – la convivenza, che può essere tanto etero quanto omosessuale – riconoscendo alcuni diritti, quali l’assistenza nelle strutture sanitarie e carcerarie, il subingresso nel contratto di locazione o, per un periodo di tempo limitato, nel diritto di abitazione della casa in cui si è convissuto. Ciascun convivente potrà delegare l’altro a rappresentarlo per i casi di malattia o morte, e la convivenza potrà costituire titolo per posizionarsi nell’ambito di graduatorie pubbliche (ad es. alloggi popolari), alle stesse condizioni del nucleo familiare. La disciplina dei reciproci rapporti patrimoniali è solo eventuale, e demandata ad un contratto di convivenza (che potrà essere stipulato dal notaio con atto pubblico, o dall’avvocato con scrittura privata da questi autenticata), così come solo eventuale e temporaneo è l’obbligo di mantenimento dopo la cessazione della convivenza.

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11. Quale stato civile avranno i conviventi?

La disciplina della convivenza di fatto non attribuisce, in senso stretto, un nuovo stato civile al convivente, ma disciplina soltanto diritti e doveri che derivano dalla situazione di fatto della convivenza. La convivenza risulterà, comunque, dalle dichiarazioni anagrafiche di cui al DPR 223/89 (Artt. 4 e 13, lett. b), cd. “stato di famiglia”).

12. Quando entrerà in vigore la legge? Quando tempo dovrà passare prima di poter celebrare una unione civile?

Il comma 35 dell’articolo unico prevede l’immediata entrata in vigore, a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, delle nuove norme in tema di unione civile. Per la celebrazione delle prime unioni civili dovrà però attendersi il decreto del Presidente del Consiglio (da adottarsi entro 30 giorni su proposta del ministro dell’Interno) contenente la disciplina transitoria per la tenuta dei registri dello stato civile (comma 34).

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