“Drogati avvolti nelle loro Jockstrap”, ecco i gay secondo Il Foglio.

Il quotidiano descrive gli omosessuali come animali interessati solo al sesso anonimo

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Foglio.it, sezione “cultura“: La giornalista Simonetta Sciandivasci riporta la sua partecipazione al Circuit Festival di Barcellona, uno degli appuntamenti gay più famosi d’Europa, narrando di quali indicibili aberrazioni siano capaci gli omosessuali. Si inizia parlando del lido Be Gay, dove la “malcapitata” dice di essersi ritrovata in una quinta dimensione dove “non esistono cellulite, panza, tette flosce, biancore, peli superflui, smagliature. Insomma, non esiste la natura”, un non luogo dove sono “assenti anche bambini, vucumprà, pedalò“.

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Sciandivasci, scioccata da questo abominio, ha dunque deciso di affogare il suo dispiacere in un (dispendiosissimo e disgustoso) Mojito, precisando come tutti gli altri avventori prediligessero (almeno fino all’una di notte, ora X da orologio dell’apocalisse) “solo frullati di aminoacidi e steroidi. Quello che deve succedere, dopotutto, succede dalle tre alle dieci del mattino, nei bagni del Razzmatazz, del Metro, dell’Arena (una specie di franchising di locali gay friendly)”. Si evince chiaramente come la sua idea di omosessuale corrisponda ad una (longilinea) bestia notturna che vive solamente in prospettiva di drogarsi per concludere con una sveltina in un bagno qualsiasi, tant’è che aggiunge: “Là dentro, dove si arriva prima ancora di aver fatto un salto in pista o al bar, si consuma più droga che in tutta Bogotà. E nessuno ci resta secco – (riferimento al Cocoricò?!, mistero)- . Nessuno, neanche quelli che mostrano, nei loro jockstrap (se non sapete cosa siano, v’invidio e vi rimando a Google Immagini: facciamo del living journalism) erezioni perpetue e immotivate (ma sarà una cosa etero, questa di credere che l’erezione obbedisca alla meccanica causa-effetto: al Circuit, l’erezione è più che altro una posizione), ottenute con chissà quali cocktail di viagra e strisciate addosso a chiunque, come carezze o bancomat. Al Metro, dove ci sono una donna eterosessuale (la sottoscritta), due lesbiche e 987 maschi che amano i maschi, lo spazio abitabile tra un essere umano e l’altro è esattamente quello necessario ad accarezzarsi con l’inguine e il culo“.

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Dopo aver sbeffeggiato un ragazzo francese che le ha rivolto parola, prosegue nella sua invettiva sostenendo che “In una discoteca eterosessuale, con 38 gradi, ci sarebbe odore di corvo morto, di cimitero in estate, invece qua è tutto un Eau de Toilette di Narciso Rodriguez.” Ma non finisce qui, il saggio parodistico prosegue in una catalogazione da fare invidia a Darwin delle creature presenti nel locale tra ragazzetti “cub” pelosi e temibili bear, “i più misogini e settari di tutti”. Proprio in riferimento a quest’ultimo gruppo, la reporter aggiunge che “hanno persino una bandiera con le strisce marrone, gialla e ocra – che corrispondo alle carnagioni che ammettono – e bianca, grigia e nera, che sono un tributo ai colori dei peli”, peccato che, Wikipedia docet, la bandiera ursina sia in realtà “il simbolo internazionale scelto dalla comunità bear, che rappresenta l’impronta di un orso su uno sfondo a strisce. I colori delle strisce più in alto sono ispirati al colore della pelle di persone di diverse etnie: neri, mulatti, asiatici, caucasici etc. I colori delle strisce basse sono quelli del “Pelo dell’orso”, nero, grigio o bianco, a seconda dell’età. La bandiera ha un significato di apertura a tutte le etnie, a tutte le età e alla diversità nelle persone e nei gusti.” Insomma, Sciandivasci non ha afferrato, sarà colpa di quel Mojito.

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Quando un gruppo di ragazzi americani, probabilmente incuriositi dall’aria crucciata della giornalista, si avvicina per informarsi sulle sue condizioni di salute, S.S. continua: “Mi chiedono tutti, in continuazione, se sto bene, tanto che per liberarmene devo fingere un malore e andare in bagno, trentaquattro scalini sotto il livello della decenza, mille gradi sotto quello di ebollizione. Anche qui, nemmeno un miasma. Nemmeno un collasso. Nemmeno una molestia. L’amore vince anche sulla droga, tanto che a chiamarla così mi sento vecchia, animale morente, cara estinta, insomma eterosessuale.

Per concludere, dopo un incontro ravvicinato con uno “che fa marchette”, con due chiacchiere con un connazionale calabrese che le “racconta la sua vita in otto secondi. Si offre di accompagnarmi, anche se non so dove – e nemmeno lui. Rifiuto. Mi odia. Salgo su un taxi e il tassista indossa una polo. È il primo essere umano di sesso maschile che vedo a non vestire un gilet di pelle, carne tatuata, canotta. Mi sembra persino bello, ma so che è merito della polo, che mi mancava quasi quanto mi manca Marcello Mastroianni. Spero tanto che sia gentile. Spero tanto che mi faccia un baciamano, non mi chieda se sto bene, se voglio aprire il finestrino, se sono italiana, spagnola, raffreddata, in salute, felice, se mi sono divertita, se ho un lavoro. Invece, nulla. Vuole solo sapere dove abito. Vuole solo fare il suo mestiere, non ha voglia di fare anche l’uomo“. (Eh? “voglia di fare anche l’uomo” ?!?!)

Non siamo sicuri se a sconvolgere più l’inviata del Foglio sia stata l’assenza di “cellulite e tette flosce” (invidia?), la presenza di tanti uomini per niente interessati a lei, o meglio, non come forse avrebbe voluto, o il mojito non di alta qualità (pare), ma preferiamo non addentrarci alla scoperta del retropensiero della signora: non aggiungiamo altro, i vostri commenti parleranno da soli. Un consiglio però vogliamo darglielo: se i posti dove non le viene rivolta “nemmeno una molestia” le provocano tanta repulsione, la prossima volta scelga un luogo di intrattenimento esclusivamente per “veri maschi” etero, che magari qualcosa ci scappa.
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