GAY IN CINA: SPIRITI NELLE TENEBRE

Elettroshock, carcere, pestaggi e cliniche psichiatriche: chi desidera vivere la propria omosessualità è costretto a pochi incontri furtivi e poi tornare dalla "moglie". Ma qualcosa si sta muovendo.

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Cosa vuol dire essere gay oggi in Cina? Nonostante il fatto che nella letteratura e nell’arte cinese antica esistano numerosi accenni a rapporti omosessuali persino nella dinastia Han, attualmente in Cina la situazione per la comunità gay è disastrosa.

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Benché non esistano specifiche leggi contro l’omosessualità, uomini che hanno rapporti con altri uomini vengono torchiati dai rappresentanti dell’ordine pubblico. I rapporti infatti parlano con una frequenza allarmante di maltrattamenti da parte della polizia, arresti, detenzione, pestaggi e una volta in galera anche violenze sessuali. Ben pochi di questi incidenti vengono denunciati, dato che nessuno vuole rivelare pubblicamente il propri orientamento sessuale. Le sanzioni sociali contro i gay sono mantenute con sistemi semi-ufficiali: la polizia in Cina infatti ha l’autorità di imporre sentenze ai cittadini senza procedimenti legali. Questi processi arbitrari per i gay cinesi spesso si concludono con due anni in un campo di rieducazione o l’internamento in una clinica psichiatrica a tempo indeterminato.

Fino a poco tempo fa l’associazione medica e psichiatrica cinese riteneva l’omosessualità un "disordine mentale", e secondo Amnesty International, per far tornare i gay alla "normalità" nelle cliniche psichiatriche si farebbe liberamente uso di droghe ed elettroshock. Secondo un recente sondaggio, il 71% dei cinesi pensa che l’omosessualità sia anormale, il 34% la ritiene contro la legge e solo il 12% dice che bisognerebbe lasciare ad ognuno la libera scelta della propria sessualità.

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La comunità gay cinese dunque vive nelle tenebre.

David (nome di copertura) è uno studente cinese ventitreenne, e solo pochi amici sanno della sua omosessualità. Cerca un amante in una società in cui persino gli stessi gay sono portati a considerare "disgustoso" il proprio orientamento. Anche se c’è un piccolo manipolo di attivisti in Cina che osa parlare apertamente della propria sessualità, il nostro studente, come molti omosessuali cinesi, non ha intenzione di unirsi a loro.

"Fare un coming out pubblico qui in Cina sarebbe un disastro per una persona comune, sarebbe subito licenziato e ostacolato", dice David, che ha deciso di parlare con un giornalista solo dietro la condizione di non usare il suo vero nome. "La maggioranza dei gay cinesi pensa alla propria vita, vogliono solo provare ad avere un’esistenza felice". E questo è già difficile.

"Qui molti gay vivono ancora in una condizione di ignoranza totale, discriminazione e paura", afferma Wu Chunsheng, uno dei pochissimi attivisti gay cinesi. "Incapaci di comprendere i propri istinti o accettare la propria omosessualità, vivono al di fuori della società, tormentati dai sensi di colpa e dall’odio per sé stessi. È molto normale per un gay cinese il fatto di non avere un compagno fisso nella propria vita", aggiunge Wu, sottolineando che trovare una relazione stabile è difficile persino per quei pochi che hanno osato venire allo scoperto nonostante tutto, anche frequentando coraggiosamente i punti d’incontro per gay come il parco Dongdan di Pechino o la discoteca dell’hotel a cinque stelle "Kuniun". Certe serate, più di un terzo dei frequentatori di questa discoteca è composta da gay. Ma persino in questo luogo l’intimità si limita a poche occhiate furtive, sussurri mentre si beve una coca cola o, per i più audaci, una breve carezza sulla pista da ballo.

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Tenersi per mano o qualsiasi altro atteggiamento esplicito è impossibile, e per un occhio non allenato il Kuniun potrebbe sembrare una discoteca come tante. Frequentare il locale inoltre è costoso, e questo lo rende comunque inaccessibile a persone di basso reddito come David, secondo il quale il club è frequentato solo da ricchi ragazzi gay esclusivamente in cerca di una notte di sesso.

Lui invece, come molti altri, non si sente a proprio agio neppure con gli incontri nei parchi. "Sono stato diverse volte al parco di Dongdan per cercare un amante, ma la cosa mi ha disgustato. Dongdan non è un bel posto, c’è una brutta atmosfera", confessa il giovane. "Preferirei incontrare qualcuno nel corso della mia vita quotidiana, ma questo è davvero molto difficile".

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Da quando David ha riconosciuto la sua omosessualità, ha cercato di superare il disgusto iniziale grazie al fatto di poter accedere alla biblioteca universitaria. Molti gay in Cina non sono così fortunati, la loro ignoranza e senso di colpa vengono rinforzati da una capillare disinformazione dei media che associa inevitabilmente l’omosessualità al crimine o all’HIV.

Benché le condanne a lungo termine per atti di omosessualità siano diventate molto rare negli ultimi anni, la polizia continua a promuovere il terrorismo psicologico nella comunità tramite occasionali raid in cui i gay vengono multati o incarcerati per qualche giorno. Con così tanti elementi di scoramento, i gay in Cina più che a rapporti stabili risolvono i propri impulsi sessuali con rapidi e poco sicuri incontri nei bagni pubblici. Dopo di che tornano a casa dalle mogli, fingendo di vivere una vita da etero.

"Dopo i 30, più del 90% dei gay cinesi si sposa", rivela Wan Yanhai, "Questo perchè la pressione sociale e familiare li porta a credere di non avere scelta. Ma continuano a trovare partners gay per la strada e a fare sesso non protetto". Wan, Wu e altri attivisti stanno cercando di promuovere campagne informative sull’AIDS e l’omosessualità, per arginare i danni derivanti dall’ignoranza massiva sull’argomento.

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Nella loro più ambiziosa iniziativa, hanno riunito 40 specialisti internazionali a Pechino per una conferenza di due giorni sull’HIV tesa a raccogliere una documentazione da inviare al governo.

Wu ha grandi progetti: "Voglio portare l’omosessualità fuori dalla ghettizzazione in Cina, sviluppare le relazioni interpersonali tra gay promuovendo riunioni alla luce del giorno e incoraggiando le persone a discutere apertamente dei propri problemi". Ma spesso gli sforzi degli attivisti sono frustrati, in parte dalla mancanza di coesione interna della comunità gay cinese, in parte per l’assenza di qualsiasi supporto governativo.

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Delle lesbiche cinesi invece si sa poco o nulla, tranne che esistono. Nel 1995, durante la 4° Conferenza Mondiale per le Donne coordinata dalle Nazioni Unite e tenutasi a Pechino, Julie Dofr, direttrice dell’International Gay & Lesbian Human Rights Commission ha richiesto per le donne cinesi il diritto di determinare la propria identità sessuale, l’uso del proprio corpo e soprattutto le relazioni intime. Da tempo la Dorf è in contatto con alcune donne cinesi per rafforzare il movimento lesbico cinese, sotterraneo ma esistente. L’attivista lesbica tailandese Arjana Suvarnananda aggiunge: "Vi assicuro che le lesbiche esistono ovunque, Cina inclusa".

di Lily Ayo

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