Lo si potrebbe credere una rappresentazione allegorica di certa omosessualità, che ardentemente combatte per i propri diritti salvo nascondere la propria identità nella vita di tutti i giorni. L’"uomo mascherato" che infiamma i cuori del ventesimo secolo (e, speriamo, anche del ventunesimo) è lui, il Subcomandante Marcos, colui sul quale nessuno è stato ancora in grado di rispondere alla domanda: "Chi si nasconde dietro quella maschera?"
La risposta più accattivante l’ha data lui stesso: "Se volete sapere che volto c’è dietro il passamontagna, è molto semplice: prendete uno specchio e guardatevi". Il Subcomandante Marcos, è così: un uomo impegnato da anni in battaglie a volte cruente, sempre desideroso di non risparmiare neanche un grammo delle proprie energie nella lotta, ma capace di non perdere mai minimamente un senso di leggerezza, un umorismo che illumina tutto di eternità.
Sconfiggere un uomo del genere è difficile: abilmente evita tutte le strumentalizzazioni troppo pericolose, schivando l’inserimento in un sistema di informazione, di costruzione dell’immagine che combatte tenacemente, considerandolo come il vero campo di battaglia della "Quarta Guerra Mondiale", la guerra che uccidendo e costruendo la reputazione delle persone non è meno sanguinaria, né, soprattutto, meno nociva per gli emarginati.
Un tentativo di distruggere l’immagine di questo rivoluzionario autentico, uno dei pochi che sopravvive e anzi combatte la globalizzazione imperante, è stato condotto dai servizi segreti messicani con uno stratagemma collaudato. Alcuni capoccioni della Cia messicana pensarono che la cultura machista dell’America Latina popolare, mai avrebbe potuto riconoscersi in un leader del quale si vociferasse da più parti l’omosessualità. Così, forti del fatto che nessuno sa nulla del Subcomandante Marcos, a parte il fatto che indossa un passamontagna e fuma la pipa, cominciarono a diffondere la voce che testimoni attendibili potevano confermare che il "capo" si dilettava coi soldati…
Se storicamente è facile affermare che buona parte del movimento di liberazione gay è legato alla cultura di sinistra, è anche vero che la figura del leader rivoluzionario ha sempre dovuto colorarsi di forti tinte virili, e che mai si sarebbe potuto tollerare un "Che" gay, per fare un esempio. E’ per questo motivo che quando nel 1965 lo scrittore gay della beat-generation Allen Ginsberg, sbarcato a Cuba per una conferenza organizzata dal Ministero della Cultura, cominciò a scherzare riguardo le sue fantasie sessuali sul Che e addirittura dichiarò ad alta voce che il fratello di Fidel Castro, Raul, era una "sorellina", una scorta armata lo rimise sul primo aereo disponibile e lo rispedì in America. Lo stratagemma ideato per neutralizzare l’ascendente di Marcos sulla popolazione, dunque, poteva dimostrarsi veramente efficace; se non fosse che un giornalista, intervistando il Subcomandante sulle alture sud-orientali del Messico gli chiese spudoratamente se fosse vero che lui era gay. La risposta di Marcos fu semplicemente: "sì".
La rivelazione suonò rivoluzionaria: Marcos raccontò al giornalista che si era trasferito in Chiapas dopo aver perso il posto di cameriere a San Francisco a causa della sua omosessualità. Eppure chiunque conosca quest’uomo capace di raccogliere intorno a sé migliaia di persone, sa che questi suoi racconti vanno presi in un’ottica molto precisa: non aveva in passato dichiarato di essere stato un lavoratore in un sexy shop? Un massaggiatore a New Orleans? E quella volta che aveva riferito di essere stato il capo delle guardie del corpo delle "pon-pon girls" dei Dallas Cowboys? Non sarà che Marcos sta cercando di prendersi gioco dell’intervistatore, eludendo la possibilità di essere rinchiuso nell’immagine del rivoluzionario romantico, stile poster di Che Guevara, adatto alle nuove generazioni anti-capitaliste?
Non è solo questo: Marcos ha spiegato bene la sua identità in un’altra dichiarazione, mettendo in evidenza che la sua biografia non ha alcuna importanza rispetto alle battaglie che lui e il suo esercito stanno portando avanti: "Sì, Marcos è gay. Marcos è un gay a San Francisco – ha dichiarato – un nero in Sudafrica, un anarchico in Spagna, un indio in Messico, un pacifista in Bosnia, un palestinese in Israele, un comunista dopo la fine della guerra fredda, una donna sola in una notte di sabato in ogni metropoli messicana, uno studente infelice, un dissidente nell’ economia di mercato, un artista senza galleria e, naturalmente, uno zapatista nel Messico sud-orientale. Marcos è tutti gli sfruttati, gli emarginati, le minoranze oppresse che resistono e dicono: Basta!"
Per la cronaca, c’è chi assicura che il subcomandante Marcos è in realtà un uomo sulla quarantina, non indigeno, di classe media, un ex-ricercatore universitario a Tampico, il cui vero nome sarebbe Rafael Sebastian Guillen Vicente, e che – come lui stesso ha reso noto il giorno di San Valentino di quest’anno – sposato con una donna che si chiama "La Mar", il mare…
Certamente, mentre lo dichiarava, sorrideva dietro la maschera.
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