Il virus dell’Aids compromette la capacità di chi è affetto da Hiv di riconoscere le emozioni sul volto degli altri, in particolare le espressioni facciali che rivelano paura e felicità. E’ quanto ha scoperto un team di ricercatori dell’Università Cattolica di Roma. Il lavoro, pubblicato sulla rivista open access “BMC Psychology”, è stato condotto dalla dottoressa Eleonora Baldonero, dottoranda presso l’Istituto di Clinica delle Malattie Infettive dell’Università romana.
I ricercatori hanno visto che queste defaillance nel naturale sistema di riconoscimento delle emozioni altrui. importantissima capacità umana che consente di provare empatia, ovvero di mettersi nei panni degli altri e capirne le intenzioni, vanno di pari passo con altri problemi spesso lamentati dai sieropositivi, come i deficit di memoria a breve termine e più generali disturbi cognitivi. Ciò suggerisce che esiste una relazione tra la capacità di riconoscere le espressioni facciali e altre abilità cognitive, che dipendono dall’attività di strutture cerebrali complesse come l’amigdala (che è un’area importante per l’emotività, dove nasce ad esempio la sensazione della paura alla base della percezione dei pericoli).
A spingere i ricercatori a compiere questi studi, la constatazione del fatto che, essendo aumentata l’aspettativa di vita delle persone con Hiv/Aids, è sorta la necessità di affrontare alcuni aspetti che riguardano la loro qualità della vita, come le problematiche di tipo neurocomportamentale.
“Abbiamo utilizzato per questo un test che consiste nel chiedere ai soggetti coinvolti nella ricerca di riconoscere le emozioni che venivano espresse attraverso il volto di attori in fotografia (test di Ekman)”, spiega la professoressa Silveri che ha coordinato il progetto. Gli esperti hanno confrontato un gruppo di pazienti sieropositivi con un gruppo di soggetti sani di controllo, e osservato che i primi avevano difficoltà a riconoscere la paura “dipinta” sul volto altrui; in genere questa difficoltà, come ha spiegato la dottoressa Baldonero, si accompagna a un deficit della memoria a breve termine. Inoltre, tra i soggetti sieropositivi, quelli in cui la capacità di prendere decisioni e l’apprendimento risultavano maggiormente compromessi, presentavano una selettiva difficoltà nel riconoscimento dell’emozione “felicità”.
Seppure al momento non ci sia una spiegazione adeguata al presentarsi di queste incapacità, si può ipotizzare che questo mancato riconoscimento possa essere legato a tratti personali e psicologici individuali dei soggetti coinvolti nella ricerca, ma la frequenza con cui il fenomeno si osserva nei sieropositivi è troppo elevata per essere riconducibile unicamente al caso o a fattori soggettivi. Più verosimile è che si tratti di un’alterazione asintomatica che non si manifesta nella vita quotidiana, ma che emerge soltanto attraverso test specifici, esattamente come accade per i deficit di memoria e di attenzione evidenziabili nel 30-40% di soggetti Hiv-positivi solo attraverso test neuropsicologici, non essendo individuati né dal soggetto, né dalle persone che quotidianamente si relazionano con lui. Adesso c’è da scoprire se questi deficit e queste alterazioni dell’emotività peggiorino con l’età. “Il messaggio che ci sentiamo di dare alla comunità scientifica – concludono le autrici del lavoro – è quello di considerare nei soggetti Hiv-positivi l’opportunità di monitorare sia gli aspetti neurocognitivi sia quelli più propriamente emozionali“.
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