La scorsa settimana ha avuto risonanza nazionale il caso di Sabrina di Biase, 34enne madre di 4 figli felicemente fidanzata con una donna che ha trovato sul proprio armadietto all’ospedale Manzoni di Lecco la scritta “Fuori di qua lesbica”.
“Non lo faccio solo per me, lo faccio anche per un collega che ha subito le stesse vessazioni. E adesso non c’è più“, aveva sottolineato Sabrina al Giornale di Lecco. Ed è ora il Giornale di Mantova a rilanciare. Nel 2017, infatti, l’infermiere della Chirurgia Stefano Buttitta trovò scritto sul suo armadietto ‘Froc*o di mer*a’. Esattamente due anni fa, era dicembre del 2017, Stefano decise di farla finita, a soli 41 anni, gettandosi dal terrazzo del reparto di Chirurgia dell’ospedale Manzoni. Per sua madre Giuseppina Palumbo, con quel gesto l’infermiere aveva voluto lasciare un messaggio inequivocabile: di omofobia si muore.
E’ chiaro che in ospedale, e da anni ormai, l’omofobia sia di casa. Il Manzoni ha diramato in tal senso uno stringato comunicato stampa con cui ha condannato quanto accaduto a Sabrina: “Ogni atto omofobo e di razzismo, sia che avvenga tra i muri della nostra Azienda che fuori, deve essere assolutamente condannato con forza da ognuno di noi”. Una condanna che non è bastata all’Associazione “Renzo e Lucio” GLBTS Lecco.
Chiediamo alla dirigenza dell’ospedale di attivare un percorso di politiche aziendali capaci di garantire una maggior integrazione delle persone GLBT (gay, lesbian, bisexual, transgender), così come con disabilità, negli ambienti di lavoro, per garantire il rispetto di ogni persona garantendo un ambiente inclusivo. Da tempo parecchie aziende si stanno attivando per attuare il “diversity management” che è quell’insieme di azioni strategiche di inclusione lavorativa volte a valorizzare la diversità all’interno di un ambiente di lavoro, sia essa di genere, di orientamento sessuale, di origini etniche, di età, di cultura, di abilità fisiche. La risorsa umana viene posta al centro dell’attenzione delle metodologie organizzative volte a riconoscere, rispettare, valorizzare ed integrare le diversità delle persone, tenendo conto anche dei loro bisogni, nonché a potenziarne la crescita attraverso la motivazione e lo sviluppo delle capacità. Sarebbe opportuno che, a fatti tristi come quelli registrati in questi giorni, si opponga un serio lavoro di formazione. Tante volte la cattiveria che genera discriminazione è frutto di ignoranza ed a questa si risponde non solo con una condanna ma con atti seri e coraggiosi. Chiediamo anche all’azienda un chiaro impegno a tutelare chi ha avuto il coraggio di denunciare. Sappiamo che a volte sul luogo di lavoro accade che, chi ha il coraggio di alzare la testa contro i soprusi subiti, poi rischia di pagare un prezzo ancora più alto, di isolamento, maldicenza e rabbia. Vorremmo che non fosse così, almeno in questo caso. Chi ha il compito di occuparsi della cura delle persone sappia avere il coraggio e la determinazione a tutelare fino in fondo le vittime delle discriminazioni anche quando è direttamente chiamato in causa.
Fonte: GiornaleDiMantova
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