Milano Pride, intervista al coordinatore: “Milano resistenza civile a questa politica densa di odio e discriminazione”

A 15 giorni dal Milano Pride abbiamo intervistato Francesco Pintus, Coordinatore Commissione Pride.

Milano Pride, intervista al coordinatore: "Milano resistenza civile a questa politica densa di odio e discriminazione" - Francesco Pintus Pride - Gay.it
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Dopo aver pubblicato tutti gli eventi della Pride Week e della Pride Square in anteprima, con tanto di fiaccolata e primo storico monumento LGBT cittadino, torniamo a parlare di Milano Pride grazie a Francesco Pintus, Coordinatore Commissione Pride.

18 anni fa Milano scendeva in strada per il primo storico Pride cittadino. Era il 9 giugno del 2001. Come e quanto è cambiata, dal punto di vista dell’inclusione LGBT, e quanto ancora c’è da fare. Esiste davvero questa ‘bolla gay milanese’, microcosmo queer che poco ha da spartire con il resto d’Italia?

Sicuramente Milano, insieme a poche altre città, oggi in Italia è un modello e un esempio positivo in tema di diritti. Non essendo milanese d’origine però, in realtà non posso dire come sia cambiata Milano. Posso però dire che a essere cambiata, per fortuna, è l’Italia tutta.
I Pride portano nelle strade e nelle piazze italiane sempre più persone ed è sicuramente positivo e sotto gli occhi di tutti che la nostra comunità sia sempre più forte e sempre più grande.
L’altro lato della medaglia, però, è il clima politico in cui ci ritroviamo in questo momento: un clima di violenza e discriminazione che alimenta la paura verso le differenze e le diversità, promulgando odio e ingiustizia.
Per questo è importante essere presenti ai Pride e avere il coraggio di lottare e metterci la faccia per fare capire a questo governo che sui diritti civili non si torna certo indietro ma che, anzi, la strada da fare è ancora lunga.

In pochi anni il Milano Pride è diventato il 2° Pride nazionale, per quanto riguarda il livello di partecipazione. Secondo solo a Roma, con il picco di 250.000 partecipanti toccato lo scorso anno. Come siete riusciti a diventare tanto ambiti, anche dal punto di vista del marketing aziendale, e come crescere ulteriormente?

Credo che gran parte del merito del nostro successo sia da attribuire a chi permette che il Milano Pride esista e cioè le associazioni e il lavoro e l’impegno dei loro volontari. Milano può vantare un invidiabile tessuto di associazioni sparse nel territorio che garantiscono un apporto di risorse e di energie senza le quali il Milano Pride non sarebbe potuto diventare quello che è oggi.

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Un Pride storico, quello di quest’anno, visti i 50 anni dei Moti di Stonewall. Quali e quante sorprese avete preparato. Cosa dobbiamo aspettarci?

Come è sempre accaduto negli ultimi anni, ogni anno il nostro Pride è cresciuto rispetto all’anno precedente, non soltanto nel numero dei partecipanti ma anche nel numero degli eventi che compongono la nostra Pride Week, nel numero delle aziende che scelgono di supportarci e di collaborare con noi, nel coinvolgimento delle minoranze e di tutta la società civile all’interno della nostra manifestazione. A Milano, infatti, il Pride non è solo la parata ma è un modo di intendere il coinvolgimento della città a 360 gradi. Durante la settimana del Pride, insieme a decine di associazioni ed istituzioni, riusciamo a mettere in campo un programma di più di 60 eventi fra dibattiti, spettacoli teatrali, conferenze, mostre e proiezioni. Negli ultimi 3 giorni del weekend (da giovedi a sabato) popoliamo con le nostre attività ben cinque piazze, dove la gente può respirare davvero il clima di un village aperto a tutta la città. E questo tipo di attività – che nei tre giorni coinvolgono decine di migliaia di persone e decine di associazioni – sono parte integrante dell’esperienza del Pride a Milano.
Quest’anno non saremo da meno: avremo una Pride Week sempre più ricca e variegata, una Pride Square sempre più grande e diffusa, una parata sempre più lunga e colorata.

Voi scenderete in strada sabato 29 giugno, ovvero lo stesso giorno del World Pride di New York. Ci sarà una vostra delegazione nella Grande Mela, e come mai avete optato proprio per questo weekend, che vedrà New York capitale del mondo LGBT per un giorno.

I motivi in realtà sono due. Il primo è legato alla tradizione: sono anni che il Milano Pride, tradizionalmente, si svolge sempre l’ultimo sabato di giugno. Inizialmente eravamo solo noi organizzatori a ricordarcelo, poi con gli anni abbiamo notato che anche le persone iniziavano a tenerne conto e a organizzarsi in modo da essere a Milano proprio quel weekend. Cambiare data avrebbe creato confusione e infranto una tradizione. Inoltre, proprio quest’anno che si celebra il cinquantenario dei moti di Stonewall, abbiamo la fortuna che l’ultimo sabato di giugno cada proprio il 29, quasi coincidente con la storica data del 28 giugno: sarebbe stato un peccato non presidiare la nostra città proprio in una data così importante.
Sicuramente dispiace non poter essere presenti a New York ma sono sicuro che la nostra scelta sarà apprezzata.

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Salutato Maroni, in Regione è arrivato un altro leghista, Attilio Fontana. Credete che il rapporto con questo nuovo presidente possa essere diverso, o vi aspettate uguale trattamento.

Purtroppo quello che abbiamo sentito finora non promette niente di buono: i discorsi di Attilio Fontana sono discorsi che probabilmente sarebbero già apparsi come vecchi 50 anni fa. Non è ammissibile che un presidente di una delle regioni che dovrebbe essere traino per tutta l’Italia rilasci dichiarazioni che non tengano conto dei cambiamenti della società italiana e della enorme molteplicità delle famiglie italiane. E sempre a proposito della parole di Fontana, una precisazione: Fontana ha detto che il Pride è divisivo. È vero, il Pride da sempre divide, ma in modo diverso da quello che probabilmente pensa lui. Il Pride divide i sostenitori del progresso civile e della cultura dei diritti da chi si ostina a difendere stereotipi e visioni retrograde di cosa debbano essere l’amore e la famiglia. Da questo punto di vista è certamente “divisivo”: tra gli oppressori e chi non vuole più essere oppresso. Da un altro punto di vista, il Pride è invece decisamente inclusivo, molto più del culto della famiglia cosiddetta tradizionale, che la Regione Lombardia sostiene apertamente, anche con l’imbarazzante iniziativa del 2016, l’illuminazione del Pirellone con la scritta “Family Day”. Un culto che esclude e finge di non vedere che la società italiana in realtà è già andata oltre, piena com’è di famiglie omogenitoriali, allargate, con madri o padri single. Pride e Family Day si pongono su due piani antitetici. Il primo apre, chiedendo rispetto e riconoscimento per qualcosa che esiste già; il secondo chiude, imponendo un unico modello, volto a inibire tutte le forme altre di affettività, filiazione, famiglia.

In Comune, invece, tutto è cambiato nel corso dell’ultimo decennio. Prima Giuliano Pisapia e a seguire Beppe Sala, entrambi hanno dato un impronta precisa e decisa sulla strada da dover percorrere. Possiamo e dobbiamo considerare Milano come laboratorio politico dei diritti e dell’inclusione LGBT, da cui ripartire anche a livello nazionale?

Parlando di Milano, una delle cose più belle è stato vedere come alcune iniziative nate dalla società civile abbiano poi avuto l’avvallo dell’amministrazione pubblica. Questo sicuramente testimonia una forte volontà politica ma è anche chiaro che questo possa avvenire solamente in una città in cui la predisposizione dei cittadini sia altrettanto forte e radicata. Per questo motivo, io credo che la città di Milano si sia già ritagliata un ruolo di esempio positivo di resistenza civile a questo momento politico denso di odio e discriminazione. E siamo sempre più convinti che, per incidere davvero sulla società e per vivere un cambiamento radicale, occorra saper coinvolgere non soltanto tutta la società civile ma anche il tessuto produttivo di un paese.

Come vogliamo rispondere a chi si domanda che senso abbiano i Pride al giorno d’oggi, e soprattutto a chi chiede a gran voce Pride ‘senza eccessi’?

Chi dice una cosa simile evidentemente non sa nulla di come il Pride è nato e di cosa esso significhi. In quanto festa di libertà, il Pride non deve e non può arrogarsi il diritto di applicare una censura. Chi chiede un Pride “sobrio” o “senza eccessi” probabilmente crede che esista una sola “norma” e ciò che non la segue vada represso, evitato, possibilmente vietato. Quello che invece il Pride vuole far capire è che esistono infinite diversità e ciascuna va rispettata in quanto tale, anche se non ci piace. Ancora più preoccupante è sentire che spesso il Pride sobrio ci venga suggerito come modalità per raggiungere più agevolmente il nostro scopo, come se il Pride dovesse per forza avere un fine. A chi la pensa così dico che non è certo compiacendo chi ci vorrebbe invisibili che acquisiremo i diritti che ci mancano: le nostre rivendicazioni non sono una gentile concessione da domandare ma insindacabili diritti da far rispettare, per evitare che rimangano soltanto un privilegio di alcuni.

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