La rivolta dei femminielli nelle Quattro Giornate a Napoli è forse l’episodio più inclusivo di tutta la Resistenza. Buon 25 Aprile!
Partigiani forse non per vocazione, sicuramente per necessità. A difesa degli uomini, amanti o clienti che fossero, dai rastrellamenti nazifascisti. E a difesa della propria città, intesa non solo come luogo natale ma anche come atmosfere e costumi, piegata dalla cappa tedesca. Anche i femminielli napoletani, storiche figure di uomini femminili della tradizione partenopea, parteciparono alla Resistenza.
Una storia sbiadita dal tempo e dalla morale, su cui solo negli ultimi anni si è fatta un po’ di ricostruzione, e che racconta del loro contributo alle Quattro Giornate di Napoli, che nel 1943 videro il capoluogo campano sollevarsi contro un nazifascismo in arretramento.
Erano i giorni dell’editto Scholl, che imponeva a una città ormai popolata in gran parte da donne, bambini, anziani, malati e appunto femminielli, una chiamata di leva, pena la fucilazione. Su 30mila rispondenti ai requisiti si presentarono solo 150 uomini. Da lì partì l’insurrezione che liberò la città poco prima dell’arrivo degli Alleati.
Come ha ricordato il presidente dell’ANPI Napoli Antonio Amoretti a L’Espresso, i femminielli combattenti non furono poi che poche decine ed erano impegnati soprattutto nelle barricate di San Giovanniello, un quartiere popolare dove vivevano in alta concentrazione: “Certo, a riunirsi nel loro terraneo di fronte all’ex cinema Gloria erano molti di più, ma comunque c’era una buona rappresentanza della loro comunità”.
Di fronte al male la solidarietà umana fece sì che la Resistenza fu per tutti: come le donne partigiane anche i femminielli, combattendo fianco a fianco con i soldati, goderono di questa eccezionale e temporanea rimozione di quelle barriere patriarcali ed eteronormative che esistevano e che sarebbero esistite in Italia per diversi decenni ancora. Buon 25 Aprile!
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