‘Non è necessario verificare l’orientamento sessuale del richiedente asilo’: storica sentenza a Trieste

Il ragazzo era fuggito dal Gambia perché gay. La sentenza di Trieste ha escluso ulteriori verifiche sul suo orientamento.

trieste
2 min. di lettura

Una sentenza nuova, quella pronunciata dai giudici della Corte d’Appello di Trieste, in riferimento a un ragazzo del Gambia che ha richiesto lo status di rifugiato per via del suo orientamento sessuale. Nel suo Paese rischierebbe fino a 14 anni di carcere. Inizialmente, l’asilo era stato rifiutato perché i funzionari non pensavano che il ragazzo 23enne fosse davvero gay, ma che mentisse solo per ottenere il permesso di soggiorno. La Corte d’Appello ha invece ribaltato questa decisione. Ma la parte più importante, è la motivazione: non è necessario che si verifichi il vero orientamento sessuale del richiedente, basta il fatto che nel Paese di origine l’omosessualità sia punita dalla legge. 

In sintesi, il giudice spiega che l’orientamento sessuale dal ragazzo gambese va in secondo piano. L’elemento importante è che il ragazzo veniva additato dai conoscenti del suo Paese come omosessuale, e questo bastava per farlo arrestare e condannare al carcere. Ma questa decisione arriva dopo aver sentito il racconto del ragazzo, che ha spiegato come viveva la sua omosessualità in Gambia e come ha fatto a raggiungere l’Italia.

Fuggito prima di essere arrestato, poi la traversata fino all’arrivo a Trieste

Secondo quanto riportato dal quotidiano Il Friuli, il ragazzo in Gambia aveva avuto alcuni rapporti sessuali con un suo collega di lavoro. Quando queste venne arrestato, il ragazzo è fuggito, perché l’amante aveva fatto anche il suo nome. Con l’aiuto del fratello, è scappato prima in Senegal e poi è arrivato in Libia. Qui ha cominciato a lavorare per un uomo che aveva conosciuto in Gambia. Nel corso dei mesi che è rimasto in Libia, ha conosciuto anche il figlio del suo datore di lavoro. Poco dopo, però, il suo capo lo ha licenziato, lasciandolo senza lavoro e senza nemmeno un paga, perché aveva sentito le voci della sua omosessualità e non voleva che influenzasse il figlio. 

Come ultimo gesto, lo ha aiutato a fare la traversata, dalla Libia fino in Italia, dove è arrivato clandestinamente. E ha subito avviato la trafila burocratica per iniziare una nuova vita nel nostro Paese, dove però non hanno creduto alla sua sessualità. Troppe volte, infatti, i clandestini affermano di essere omosessuali, solo per ottenere lo status di rifugiato. La storia del ragazzo gambese invece è un po’ diversa, perché come già detto veniva additato come omosessuale. E questo è bastato, per i giudici della Corte d’Appello.

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