In pochi ne hanno parlato – Gay.it compreso – perché l’attenzione era tutta focalizzata sul titolo I del ddl Cirinnà, quello che istituisce le “unioni civili” pensate unicamente per riconoscere le coppie omosessuali, stabilire doveri e riconoscere loro diritti. Il titolo II del testo è quindi passato in sordina, ma in realtà offre anche alle coppie omosessuali – oltre a quelle eterosessuali – una seconda interessante modalità più “light” di gestire il rapporto dal punto di vista dei diritti, dei doveri, delle questioni patrimoniali, con una maggiore flessibilità. Vediamo come.
Il titolo II del ddl Cirinnà infatti regola anche le coppie eterosessuali od omosessuali che vivono sotto lo stesso tetto, ovvero quelle persone che in termini burocratici sono unite da “legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. Per l’accertamento della “stabile convivenza” si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica e quindi alla residenza, che sin dagli anni ’70 due persone dello stesso sesso possono prendere insieme, risultando quindi nel medesimo stato di famiglia.
I conviventi assumono solo alcuni dei diritti e dei doveri riconosciuti alle coppie sposate o unite civilmente: l’assistenza ospedaliera, penitenziaria e gli alimenti a fine convivenza (nel caso in cui uno dei due non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento); se il proprietario della casa di comune residenza dovesse morire, il convivente avrebbe diritto a continuare ad abitare nella stessa casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore ai due anni e comunque non oltre i cinque anni; se l’intestatario del contratto di affitto della casa di comune residenza dovesse morire o dovesse recedere, il convivente di fatto può subentrare nel contratto.
Infine i conviventi potranno scegliere di gestire i propri rapporti patrimoniali con un “contratto di convivenza” e quindi indicare la residenza, le modalità di contribuzione alla vita comune, la comunione dei beni (voce che può comunque essere modificata in qualunque momento): il contratto di convivenza, le sue successive modifiche e il suo scioglimento sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità. Oltre che in caso di morte, di matrimonio o di unione civile, la convivenza si risolve per accordo delle parti o per volontà unilaterale.
La differenza tra convivenza e unione civile (o matrimonio) è evidentemente abissale e riguarda, per fare qualche esempio, l’eredità e la quota legittima che spetta comunque ai parenti o al coniuge anche unito civilmente, gli assegni ed i permessi familiari, la reversibilità della pensione, il trattamento di fine rapporto, le formalità ed i tempi per divorziare. Dall’entrata in vigore della legge, quindi, una volta approvata, le coppie omosessuali italiane potranno scegliere quale delle due strade preferire o potranno decidere, come alcuni lettori già ci stanno segnalando di voler fare, di iniziare con una convivenza con queste garanzie minime per poi optare, solo dopo qualche anno, per l’unione civile.
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