Dubbi sulla versione comunicata dalla Polizia, relativa all’omicidio di Yelena Grigoryeva. In un comunicato diffuso dal Comitato investigativo, la Polizia ha infatti ufficializzato il fermo di un ragazzo di 29 anni, il quale avrebbe ucciso l’attivista LGBT la notte tra il 20 e il 21 luglio 2019, accoltellandola 8 volte. Scagionato quindi il primo indiziato, arrestato poco dopo l’omicidio. Sarebbe stato questo, invece, a indicare il nome del vero responsabile. La rivelazione, mentre stava raccontando la sua versione. Ma è proprio da qui che arrivano i dubbi.
Secondo le indagini della Polizia, il 29enne e il primo indiziato avrebbero bevuto esageratamente con Yelena Grigoryeva la sera della sua morte. Il ragazzo e l’attivista si sarebbero intrattenuti a bere, ma poi questo avrebbe aggredito la donna, pugnalandola. Di fatto, con questa nuova e poco convincente versione la Polizia esclude il crimine d’odio, dando la “colpa” della morte di una donna all’alcol.
E le minacce ricevute da Yelena Grigoryeva?
La soluzione degli inquirenti fa acqua da tutte le parti. Non sono state prese in considerazione le molte minacce di morte che l’attivista aveva ricevuto in passato? La Polizia ha indagato per trovare il responsabile? E ancora, è stato confermato che il suo nome compariva nella lista di omosessuali e attivisti LGBT nel sito web ora oscurato Saw. Non era un’altra prova che doveva convincere gli agenti mettere la donna sotto protezione?
A preoccupare adesso sono anche le sorti di Zhenya Svetski. Anch’esso attivista e blogger LGBT, era uno dei presenti nell’elenco di Saw. Anche lui ha ricevuto due minacce di morte, la prima a febbraio, la seconda il 19 luglio. In quest’ultimo, gli omofobi gli intimavano di lasciare la Russia entro il giorno dopo, 20 luglio. Dietro l’indifferenza della politica e della Polizia, Zhenya potrebbe essere il secondo attivista a morire nel giro di due mesi.
E lo sarà, insieme a molti altri, se la Russia e le istituzioni internazionali non si attiveranno veramente per fermare quello che potrebbe diventare un genocidio.
Credits: Olga MALTseva (AFP)
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