Abbiamo davvero fatto i conti con la nostra omofobia interiorizzata?

Ci sono molti avversari all'esterno della nostra comunità. Ma anche all'interno, e forse persino dentro di noi.

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3 min. di lettura

Situazione politica a parte, che nel nostro paese vira sempre più verso orientamenti omofobi, ci siamo dimenticati di fare i conti col mostro peggiore, quello che non si vede e per questo miete più vittime degli altri: la nostra omofobia interiorizzata.

L’Istituto A.T. Beck, associazione di psicoterapia in ambito cognitivo-comportamentale, ne dà una definizione piuttosto chiara:

Per omofobia interiorizzata si intende quell’insieme di sentimenti negativi (ad esempio ansia, disprezzo, avversione) che gli omosessuali provano nei confronti dell’omosessualità propria e altrui, cioè verso i sentimenti omoerotici, i comportamenti omosessuali, le relazioni tra persone dello stesso sesso, l’autodefinizione come gay o lesbica”.

Parliamo di un fenomeno estremamente pervasivo e che si insinua nelle nostre vite a partire dalla tenera età:

Da quando nasciamo, i nostri genitori prima e la società poi ci bombardano con messaggi educativi, che sono delle vere e proprie frecce che si vanno a conficcare nella nostra mente. La prima è che dobbiamo rispettare e obbedire a un’autorità superiore (famiglia, poi scuola, e infine Chiesa e Stato). La seconda è che il sesso è peccato (e quindi il sesso “contro-natura” è doppiamente peccato). E poi impariamo che i gay sono effeminati e le lesbiche mascoline, che i gay non sono veri uomini, che gli omosessuali si possono deridere, insultare ed eventualmente picchiare, che ‘fr*cio’ è un insulto mille volte peggiore di ‘stronzo’”.

In questa cornice si inserisce il cosiddetto Minority Stress:

Le persone omosessuali, alle prese con l’omofobia sociale e l’omofobia interiorizzata, sono a rischio di sviluppare disagi psichici e fisici, sperimentare sentimenti negativi quali ansia, depressione, vergogna, senso di inadeguatezza e inferiorità, oltre ad aspettative di rifiuto sociale e di non accettazione”.

Per essere più chiari, secondo lo psicologo Leano Cetrullo il rischio di cadere in uno stato di depressione, di violenza o di suicidio è 3 volte più alto nella popolazione LGBT rispetto a quella eterosessuale, così come l’abuso di alcol e droga è 2 volte più alto nelle persone omosessuali rispetto a quelle etero.

Inutile prendersi in giro: se da un lato abbiamo più diritti e percepiamo una società “meno ostile” rispetto a quelle precedenti, dall’altro presente e passato si intrecciano in un retaggio che conserva tutte le oppressioni a cui la comunità LGBTQ+ è tipicamente sottoposta.

La convinzione che i tempi siano cambiati ci ha spinti ad abbassare la guardia, rendendoci vulnerabili all’eredità di un mondo che per lungo tempo ci ha voluto (e in parte ci vuole ancora) invisibili, nascosti nei parchi a consumare le nostre passioni, liberi di amare ma solo “in casa nostra”, per qualche ora e mai alla luce del giorno. Senza considerare le innumerevoli problematiche aggiuntive che devono affrontare le persone transgender e non binarie.
Il risultato è evidente: difficoltà relazionali, disagi psicologici, proiezione di sentimenti negativi sugli altri membri della comunità (secondo un recente studio europeo più della metà degli uomini gay che si definisce straight acting crede che i gay femminili diano loro una cattiva reputazione), impoverimento della sfera affettiva fino alla totale esclusione del desiderio di amare, e potremmo andare avanti.

Se è vero che l’omofobia interiorizzata genera un grande malessere, dobbiamo però riconoscere che questa procede di pari passo con l’omofobia sociale: un sondaggio condotto da Gay.it nel 2018 su 1000 lettori rivela che una persona LGBTQ+ su due ha subito aggressioni a sfondo omofobo nel corso della propria vita. Il report 2019 di Arcigay, inoltre, spiega che i casi di omofobia nel nostro paese riportati dalla stampa nel periodo maggio 2018-maggio 2019 sono stati 187, con un netto incremento rispetto a quelli dell’anno prima.

In un contesto simile, quello di cui abbiamo bisogno (oltre a portare avanti le nostre battaglie, prima fra tutte quella per una legge contro l’omobitransfobia) è guardarci allo specchio e domandarci se abbiamo superato gli ostacoli del passato, quanto siamo liberi dai condizionamenti sociali e se davvero, come ci esortava a fare Harvey Milk, siamo venuti allo scoperto.

Photo Cover by Galvão Menacho

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bacibaci 18.11.19 - 13:05

Siamo pieni di omofobia interiorizzata, il caso più eclatante è l'uso del femminile che i gay usano fra di loro quando vogliono offendersi. Un altro esempio? Gli attivi sono gay migliori dei passivi, rappresentati come zoccole represse, ovviamente si dice proprio così, al femminile. Un altro ancora? Se in Italia non abbiamo molti diritti è per colpa dei gay pride in cui ci sono i gay effeminati che ci danneggiano l'immagine. Ricordo che la lotta per i gay non l'hanno iniziata i gay in giacca e cravatta supervirili, questi ultimi erano e sono codardi che si nascondevano ieri e si nascondono oggi, ma siccome sono codardi e non hanno neppure la forza morale di ammetterlo, dicono che ai pride non ci vanno, non perché si vergognano di loro stessi ma perché ai pride ci sono i gay coi tacchi a spillo. Un altro esempio? Le lesbiche favorevoli all'inseminazione artificiale ma contrarie alla gestazione per altri. Quest'ultimo caso richiederebbe una lunga spiegazione ma direi che va bene così.

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