Ore 6.07, sorpresa in chiusura agli Oscar. Dopo l’Oscar alla miglior regia all’energico e furente The Revenant di Alejandro González Iñarritu, già impalmato Leonardo DiCaprio – finalmente – come un cineatto dovuto, pensavamo automatica l’accoppiata tradizionale col miglior film. Insieme, chi l’avrebbe detto, l’attuale e civilissimo Spotlight di Thomas McCarthy (in italiano Il caso Spotlight) conquista il premio massimo dopo la prevedibile statuetta come migliore sceneggiatura originale.
“Questo Oscar arriverà fino al Vaticano – esclama visibilmente emozionato il regista – Papa Francesco, è arrivato il momento di proteggere i bambini”.
Vince così il giornalismo rigoroso, il Quarto Potere rivolto al bene, un agguerrito gruppo di reporter che svelarono una rete di agghiaccianti reati di pedofilia nella diocesi di Boston, arrivando a vincere il Pulitzer nel 2003. Ma vince soprattutto un forte messaggio diretto a Papa Francesco contro l’ipocrisia nella Chiesa e sul bisogno di chiarezza sui tentativi d’occultare i crimini ai danni dei bambini da parte dei prelati (il cardinale Law responsabile degli orrori di Spotlight è stato trasferito nel cuore di Roma, a Santa Maria Maggiore).
Un gran momento gay c’era stato due ore prima, con l’Oscar a Sam Smith per Writing’s on the Wall, la canzone del 24esimo James Bond, Spectre, dedicato alla comunità lgbt di tutto il mondo (“Ho letto qualche mese fa un articolo di Ian McKellen in cui diceva che nessun omosessuale dichiarato avrebbe mai vinto un Oscar: sono qui come un uomo fiero e un giorno saremo tutti uguali”).
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Emozione durante l’esibizione di Lady Gaga, vibrante al pianoforte in bianco contro le violenze sessuali per la campagna It’sOnUs.org.
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Noi festeggiamo per l’Oscar all’87enne Ennio Morricone con standing ovation, accompagnamento del figlio sul palco e dedica alla moglie Maria. La musica composta per il geniale The Hateful Eight di Tarantino è assolutamente indimenticabile. Commozione per il momento dei saluti a chi è mancato durante l’anno: ecco la leggendaria Holly Woodlawn, il nostro Ettore Scola (il capolavoro gay Una giornata particolare: Mastroianni che grida “Frociooo!!!”) e il regista Richard Glatzer (Grief, Still Alice).
Grande abbuffata per Mad Max – Fury Road di George Miller vincitore di sei Oscar, soprattutto tecnici. Miglior documentario è il compassionevole Amy che restituisce dignità alla memoria di Amy Winehouse.
Il resto è prevedibile routine: miglior attrice Brie Larson per il claustrofobico Room mentre miglior attrice non protagonista è la bravissima Alicia Wikander, moglie sconvolta della prima trans della storia in The Danish Girl. Sorpresa nella categoria dei migliori attori non protagonisti, in cui Mark Rylance de Il ponte delle spie batte Sylvester Stallone per Creed.
La migliore sceneggiatura non originale è quella de La Grande Scommessa, mentre il creativissimo Inside Out vince tra i film di animazione. Lo sconvolgente Saul Fia (Il figlio di Saul) dell’ungherese Laszlo Nemes è l’annunciato trionfatore nella categoria dei migliori film stranieri. Cerimonia senza picchi, piuttosto ordinaria, ma scorrevole.
E noi, con Spotlight, Sam Smith ed Ennio Morricone, abbiamo davvero di che festeggiare.
Roberto Schinardi
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