Piergiorgio Welby a 10 anni dalla morte: un anniversario da ricordare, anche per la comunità LGBT

È evidente come la richiesta del diritto all’autodeterminazione e alla libertà fondamentale di scegliere per se stessi trovi sempre gli stessi avversari.

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Era uno scrittore, un poeta e un pittore, ma soprattutto era un cittadino che ha fatto politica fino alla fine. Piergiorgio Welby moriva il 20 dicembre del 2006 grazie all’aiuto medico anestesista Mario Riccio.

Affetto da una grave distrofia muscolare, Welby si impegnò per il riconoscimento legale del diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico e per il diritto all’eutanasia anche come co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, che oggi ne ricorda la lotta alla Camera dei Deputati.

La sua richiesta di libertà non fu gradita dall’allora vicario generale per la diocesi di Roma, Camillo Ruini, il quale impedì che si tenessero i funerali religiosi, richiesti dalla moglie Mina, presso la chiesa in piazza Don Bosco a Roma, nel quartiere Tuscolano. La volontà di morire affermata con determinazione da Welby era per la Chiesa motivo sufficiente per non concedere un funerale religioso, anche se molti fedeli e sacerdoti presero le distanze.

È evidente come la richiesta di diritti e libertà trovi sempre gli stessi avversari, ecco perché anche le persone LGBTI devono conoscere questa storia. Oltre al fatto che – come è evidente, ma troppo spesso nascosto dal giovanilismo e dal salutismo imperanti nella nostra comunità – anche le persone LGBTI invecchiano e si ammalano. Come si legge sul sito eutanasialegale.it:

«Ammalarsi fa parte della vita. Come guarire, morire, nascere, invecchiare, amare. Le buone leggi servono alla vita: per impedire che siano altri a decidere per noi, in nome di Stati o religioni; per garantire libertà e responsabilità alle nostre scelte, drammatiche e felici. Fino alla fine».

D’altra parte i nostri avversari se ne occupano eccome. Indovinate di chi è questa frase: “Se la legge codificherà un diritto che ammette il diritto a farsi uccidere, faremo di tutto per contrastare questa legge, comprese tutte le pressioni possibili in Parlamento”. È di Massimo Gandolfini, medico e, guarda caso, promotore del Family day. Il legame non è solo con le nostre battaglie, leggete qui: “Se la legge dovesse imporlo, noi procederemo con obiezione di coscienza, così come già avviene per la legge 194 sull’aborto”. È sempre Gandolfini che parla al The Post InternazionaleTout se tient, diceva il linguista De Saussure in riferimento agli elementi del linguaggio, ma è vero anche per i diritti civili che sono senz’altro inscindibilmente connessi.

La lotta di Piergiorgio Welby, che poco prima di morire inviò una lettera aperta all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha ispirato la campagna Eutanasia legale. Nel settembre 2013 i radicali depositarono in Parlamento le firme necessarie per una proposta di legge popolare, ma ci vollero altri tre anni di campagna affinché nel marzo di quest’anno, per la prima volta in Italia, la Camera dei Deputati calendarizzasse una discussione sul fine vita. Sono ormai 105mila le persone che sostengono  Eutanasia legale e 227 sono i parlamentari che si riuniscono all’interno dell’intergruppo per la legalizzazione, ma a 10 anni dalla morte di Piergiorgio Welby ancora manca una legge che regolamenti il fine vita. E intanto le persone continuano a soffrire, e se vogliono trovare la dignità che spetta loro devono andare in Svizzera e pagare. Sì, perché l’assenza di una legge mette un prezzo alla dignità e la rende accessibile solo a chi se lo può permettere. Questo ci insegna la storia di Davide T., toscano di 53 anni che, con 790 euro di pensione non può permettersi di pagare i 9.500 euro richiesti in Svizzera per il suicidio assistito. Per questo Marco Cappato ha dato vita a soseutanasia.it. Un sito attraverso il quale si possono ottenere informazioni e, in alcuni casi, anche assistenza logistica e finanziaria, per ottenere l’eutanasia.

«La nostra azione – si legge sul sito – è anche un atto di disobbedienza civile nei confronti delle leggi esistenti, in nome dell’affermazione del diritto all’autodeterminazione, alla libertà fondamentale di scegliere per se stessi, il proprio corpo e la propria malattia anche nella fase finale della propria vita, in nome dell’effettiva attuazione degli articoli 3, 13 e 32 della Costituzione».

Come ha ricordato Davide T. su Libero: «Cappato ha aiutato altri malati come Welby, Nuvoli e Walter Piludu a interrompere le cure. Ha accompagnato Piera Franchini in Svizzera, mentre a Dominique Velati ha dato i soldi per il viaggio e subito dopo si è autodenunciato dai carabinieri. Perché l’aiuto al suicidio in Italia è reato ed è punito con il carcere. Non è stato aperto nessun procedimento penale ma lui ripete: ‘Sono pronto ad assumermi tutte le responsabilità penali pur di affermare il diritto di una persona a scegliere di non soffrire più’».

Questi nomi danno corpo e speranza a una storia di lotte per la laicità dello Stato e la libertà di ciascuno di vivere e morire con dignità. Queste sono anche le nostre lotte e questa è anche la nostra storia.

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